L’intervista di oggi di Massimo D’Alema, pubblicata sul Corsera, presenta aspetti di estremo interesse. Da quando ha smesso i panni del “Cincinnato” per rientrare pienamente nell’arena politica, il presidente di ItalianiEuropei è come rinato. Tanto che in molti (me compreso) si sono ricreduti su un suo possibile declino. D’Alema lo statista è di nuovo tra noi. E le sue parole lo dimostrano.

Riprendendo in parte l’analisi di Piketty pubblicata tre giorni fa, il presidente scandisce: “Anziché deprecare il populismo cercando di delegittimare i nostri competitori politici, dovremmo cercare di metterci in sintonia con il popolo. E’ vero che la Raggi sta pagando a caro prezzo i legami con gli ambienti della destra romana, ma la Appendino è considerata il miglior sindaco d’Italia. Tra i primi tre presidenti di Regione ci sono, insieme a Enrico Rossi, i due leghisti, Maroni e Zaia. Stiamo perdendo anche il primato del governo locale, da sempre nostro punto di forza”.
Il lettore vorrà perdonarmi la lunga citazione, essenziale per capire quanto profonda e giusta sia l’analisi di D’Alema. Casomai, si potrebbe dire che se l’analisi è sopraffina, la sintesi un po’ meno perché D’Alema insiste a non voler fondare un altro partito su basi nuove.
Per questo, vi propongo una parte della riflessione di Thomas Piketty (cfr. Repubblica del 17 gennaio): “Il populismo non è che nient’altro che una risposta, confusa ma legittima, al sentimento di abbandono delle classi popolari dei Paesi sviluppati di fronte alla globalizzazione e all’ascesa della diseguaglianza. Bisogna fare affidamento sugli elementi populisti più internazionalisti [ma qui Piketty usa un aggettivo sbagliato, voleva intendere “cosmopoliti” ndr] (e dunque alla sinistra radicale, incarnata nei diversi Paesi da Podemos, da Syriza, da Sanders e da Mélenchon, indipendentemente dai loro limiti) per costruire risposte precise a queste sfide: altrimenti il ripiegamento nazionalista e xenofobo finirà per travolgere tutto”.
Altra lunga citazione che serve a ben lumeggiare lo stato dell’arte. E che ci riporta all’antico dilemma sul “che fare?”. Di certo non come ha fatto Renzi. Ma nemmeno come la banda grillina, incapace di passare dalla protesta alla proposta, dimostrando, se mai ce ne fosse stato bisogno, il carattere (vedi la vicenda degli eurogruppi: dall’eurofobico all’ultraliberista e ritorno!) profondamente reazionario (nemmeno di destra: magari!) del Movimento 5 Stelle. E attenzione: non per i casi di cattiva politica o per l’evidente mancanza di preparazione culturale, quanto e soprattutto perché la “risposta” non può essere affidata “alla Rete”, bensì a un confronto serrato con i cittadini alle prese con i guai di tutti i giorni, che certo non sono la legge elettorale, il finanziamento ai partiti o altre amenità. Ma il lavoro, la casa, la scuola, la sanità. Come peraltro raccomandava il grandissimo Pietro Nenni. Socialista.