Checco e Matteo

C’ERANO anche Matteo Renzi con figli (tre) e moglie (una, ovviamente) tra coloro che hanno speso 7 milioni di euro e passa nel primo giorno di programmazione del Quo vado? di Checco Zalone. Il premier si è concesso una pausa durante le vacanze a Courmayeur, in Valle d’Aosta. Per la cronaca erano presenti anche il […]

C’ERANO anche Matteo Renzi con figli (tre) e moglie (una, ovviamente) tra coloro che hanno speso 7 milioni di euro e passa nel primo giorno di programmazione del Quo vado? di Checco Zalone. Il premier si è concesso una pausa durante le vacanze a Courmayeur, in Valle d’Aosta. Per la cronaca erano presenti anche il giornalista Enrico Mentana e Ignazio La Russa, già ministro della Difesa, ex Msi, ex An e oggi accanito militante di Fratelli d’Italia. Ma forse Renzi non si aspettava che siffatta gita potesse dare esca a una polemica furibonda. Ci va giù duro Maurizio Gasparri, forzista, ex Msi, ex An: «Anche Renzi è andato a vedere il film di Zalone. Ha così appreso di essere un imbroglione truffatore anche da questa pellicola, che tra le altre cose evidenzia come la presunta abolizione delle Province sia stato un inganno del governo e del trio Renzi-Delrio-Madia».

Il politico berlusconiano è il classico fiume in piena: «Ha fatto bene a prendersi una ripetizione anche a Capodanno, così mediterà sulle truffe e le bugie di cui sta infarcendo l’Italia. Imparare la verità, anche attraverso il cinema comico italiano, gli farà bene. Prima di andarsene capirà quanti danni ha fatto e quante bugie ha detto».

L’ATTACCO di Gasparri, dunque, è a 360 gradi. Da una parte le Province – sulla cui abolizione il centrodestra mai ha mostrato soverchi entusiasmi dato il forte bacino elettorale che si va a toccare –, dall’altra la questione delle questioni: il lavoro. Che non è più solido. Che non è più fisso. Il ‘posto sicuro’, il cartellino timbrato, la certezza degli orari e delle ferie d’agosto… Un problema che, oltre a essere strutturale – il film narra le disavventure di un impiegato della Provincia che ne passa di tutti i colori e rischia di perdere il posto – è ormai antico. Non dimentichiamoci quando nel 1997, sorriso beffardo e canino scintillante, l’allora leader della sinistra Massimo D’Alema scandì: «Ragazzi, scordatevi il posto fisso». Scordatevi cioè quello che era stato l’obiettivo di almeno quattro generazioni di nostri concittadini.

Peraltro, lo stesso attore, nell’intervista al nostro giornale di Beatrice Bertuccioli, non aveva mancato di sottolineare come il lavoro stabile «fosse, sino a dieci anni fa, la mia massima aspirazione. Avevo fatto anche un concorso per vice ispettore di polizia, per fortuna mi hanno scartato».

COSÌ come, a vedere il film, non manca un altro elemento tipico del nostro dibattito politico: il ‘consiglio’ chiesto al potente, in questo caso un senatore impersonato da un vitalissimo Lino Banfi. E sorge spontanea la domanda: davvero il «posto fisso» è, per usare un’espressione del primo Renzi, un mito «rottamato»? A giudicare da recenti sondaggi parrebbe di no. Zalone ammette che l’idea del film è nata proprio nella fase di gestazione del tanto discusso Jobs Act: «Mia madre mi diceva ‘fatti un posto fisso’, quindi ce l’avevo dentro questo mito e se ne parlava, era l’era del Jobs Act in fase di produzione. Dall’attualità ci è venuto in mente di scrivere la storia su uno che il posto non lo vuole abbandonare per nulla al mondo».

E infatti il nostro ‘eroe’ le prova tutte per conservarlo nonostante stia crollando ogni cosa sotto la spinta delle riforme (l’abolizione delle Province).

Resta l’ultimo quesito: ma il film di Zalone è un film antirenziano (tenendo conto che Renzi è citato anche in una canzone e definito «gran burlone»)? Domanda non oziosa. E che induce a un legittimo sospetto: «Renzi fisicamente non è bello. Ma, sarà che ci si abitua, non ho più quel senso di irritazione che provavo quando lo vedevo – dice l’attore –. Anzi, a volte mi fermo a sentire ciò che dice e lo trovo interessante. Non significa buttarsi dove va il vento, è come quando esce una macchina nuova: la prima volta che la vedi ha una forma strana. Poi, col tempo, ti ci abitui». Tante parole, una risposta un po’ democristiana da un figlio della Puglia. Laggiù, dove lo scudocrociato era egemone. Il dubbio, dunque, rimane…

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