Astensione?

COME si diceva una volta, ora tutti si stracciano le vesti. Ma l’invito a disertare le urne, specie ai referendum, è lotta politica legittima e legittimata. Piaccia o meno. È trasversale e, per di più, oggetto di coltissimi dibattiti tra costituzionalisti: è un «dovere civico» come ammonisce l’articolo 48 della Costituzione? No, secondo alcuni. Perché, […]

COME si diceva una volta, ora tutti si stracciano le vesti. Ma l’invito a disertare le urne, specie ai referendum, è lotta politica legittima e legittimata. Piaccia o meno. È trasversale e, per di più, oggetto di coltissimi dibattiti tra costituzionalisti: è un «dovere civico» come ammonisce l’articolo 48 della Costituzione? No, secondo alcuni. Perché, in fondo, la richiesta di referendum viene sottoscritta da 500mila cittadini e non si vede per quale motivo debba condizionare milioni di persone.

ALDILÀ delle questioni tecniche, l’astensione è sempre stata arma di scontro politico. Non per il referendum Monarchia-Repubblica del 1946 (partecipazione-record: 89,1 per cento degli aventi diritto), sì per la consultazione sul divorzio del 1974. Un gruppo di integralisti cattolici invitò gli italiani a restare a casa. Con la famiglia. Risultati, in verità, scarsini: non solo vinsero i No con quasi il 60 per cento, ma ai seggi andò l’87,7% degli elettori. Non ci crederete mai. Eppure anche Marco Pannella, una volta, fu tentato dall’astensione. Per… mezza giornata. Era il 1985. I comunisti e la Cgil avevano raccolto le firme per il referendum sulla scala mobile (che poi si sarebbe tenuto il 10 e 11 giugno con umiliante sconfitta per il Pci). Il leone radicale incontrò Bettino Craxi in gran segreto a Roma, pare nella sede del quotidiano del Psi l’Avanti!. I due discussero a lungo: era forse il caso di invitare gli elettori a non votare? Sigaretta dopo sigaretta, Coca Cola dopo Coca Cola, alla fine decisero di affrontare in campo aperto la chiesa comunista. Su Craxi, peraltro, le pressioni per scongiurare l’astensione non furono poche. Da Ugo Intini a un giovane Valdo Spini, già allievo prediletto di Riccardo Lombardi. Spini parlò con Craxi a lungo. E, complice la verve pannelliana, convinse Bettino a tralasciare ogni ipotesi di non-voto: «Non è degno di uno che è il segretario del Psi».

PERALTRO, il nome di Craxi è associato spesso al referendum del 7 giugno 1991. Roba da brividi. Un quesito complicatissimo sulla riduzione delle preferenze da tre a una che la ‘ggente’ prese come una sorta di assedio alla Bastiglia per scardinare le fondamenta della partitocrazia. A Craxi fu attribuita la frase: «Andate al mare» e, dopo la sconfitta del leader socialista, circolò un’impietosa vignetta dove un cittadino irrideva Bettino cantandogli «Sei diventato nero/nero nero…». In realtà, Craxi mai pronunciò quella frase. Parlò di un «no rafforzato» al referendum (leggi: astensione) perché «incostituzionale, ingiusto e antisociale». Il capogruppo Psi Fabio Fabbri invitò gli elettori a una passeggiata in montagna. E, soprattutto, l’allora potentissimo Antonio Gava (Dc di quelli tostissimi, capogruppo alla Camera e più volte ministro) scandì in un comizio a Castellammare di Stabia: «Chi vuole andare al mare – come ci ricorda Antonello Capurso – può farlo. Non c’è obbligo di andare a votare perché il non farlo è una scelta in positivo». Lo stesso fece l’allora astro nascente leghista Umberto Bossi: «Io domenica vado al mare» (peraltro poi il Senatùr andò in chiesa per una cresima, ma è un dettaglio).

ANCHE nella sinistra di derivazione post comunista le voci all’astensione non sono mancate. Una delle più clamorose? Quella di Piero Fassino dei Ds. Promosso da Rifondazione comunista, il quesito si proponeva di estendere a tutti i lavoratori l’applicazione dell’articolo 18 (cioè il diritto al reintegro nel posto di lavoro per i dipendenti cacciati senza giusta causa). Niente da fare. Fassino sentenziò: «Il modo migliore di affrontare il referendum è ridurre il danno che può comportare. E la strategia per ridurre il danno passa per la richiesta ai cittadini di non partecipare a un referendum dannoso, inutile e sbagliato». Con lui tre sindacalisti storici come Antonio Pizzinato, Bruno Trentin e, soprattutto, Sergio Cofferati. La rabbia di Fausto Bertinotti fu davvero forte. Era proprio un mal di quorum…

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