Alfio, il polo delle libertà

«SONO un figlio di Roma. Nemico dei poteri marci». Vola alto, Alfio Marchini. Arriccia il naso se lo definiscono «il Ridge de’ noantri». Casomai, preferirebbe essere associato a Warren Beatty di Splendore nell’erba. Personaggi positivi affollano il suo Pantheon. E lui, «Arfio nipote de Arfio», manco si azzarderebbe a non pensare positivo. Senza esagerare, sia […]

«SONO un figlio di Roma. Nemico dei poteri marci». Vola alto, Alfio Marchini. Arriccia il naso se lo definiscono «il Ridge de’ noantri». Casomai, preferirebbe essere associato a Warren Beatty di Splendore nell’erba. Personaggi positivi affollano il suo Pantheon. E lui, «Arfio nipote de Arfio», manco si azzarderebbe a non pensare positivo. Senza esagerare, sia mai. E così sostiene di non aver mai votato comunista nonostante la famiglia. Rossa, rossissima. È storia: il nonno (Alfio pure lui) fece la Resistenza, regalò le Botteghe Oscure al Pci, via Taurini all’Unità e Paese sera, ai romani tanti palazzoni sulla Magliana («Majana»), lungo il Tevere e alle Tre Fontane.

LO ZIO, Alvaro, padre di Simona attrice e regista, anch’egli iscritto al Pci (sezione Eur, la stessa della famiglia D’Alema) fu presidente di quella Roma la cui tifoseria intonava cori del tipo «Ciccio Cordova/ Amarildo/ Del Sol/ ogni tiro è un gol» (non andò proprio così, ma è altra storia). E poi il bisnonno, socialista: la sua immagine è presente, dicono, in una casa del popolo umbra. E lui? Lui no, non è comunista. Cioè, meglio: alle ultime regionali ha votato Nicola Zingaretti, alle politiche si è astenuto. Meglio ancora: a chi gli strizzava l’occhio sul suo filo-piccismo, replicava con ferma gentilezza: «Ho sempre messo la croce sul simbolo del Pri». Ah, ecco. Sarà per un’innata idiosincrasia per i partiti, sarà per convinzione, sarà perché ha capito l’aria che tira, Alfio il giocatore di polo (è stato capitano della Nazionale) dai bianchissimi denti sempre scintillanti, vuol dare di sé l’immagine di un tipo concreto.

Dalla sua casa con vista sui Fori Imperiali non la manda certo a dire: «Renzi? Un frullato ideologico. Afferma tutto e il suo contrario». Lo dice senza acredine, è un uomo di mondo. Non ha mai votato, dice, Pci però è uno dei fondatori di ItalianiEuropei, il think tank di Massimo D’Alema, tempo fa politico di successo. Con Walter Veltroni, ormai romanziere, si dà del tu, affettuosamente. Narrano che addirittura sia stato incaricato di far riparlare i due dopo anni di gelido silenzio.

Per un periodo mise mano all’Unità. Poi tentò di metter mano al ciellino Il Sabato, salvo accorgersi che i conti erano talmente disastrati da mollare tutta la baracca. Giovanissimo entrò nel cda della Rai perché, affermano, ci teneva assai la presidente della Camera Irene Pivetti, catto-leghista allora durissima. Tutti contenti. Non casualmente, lui, il non comunista che aspirava a diventare editore di Comunione e liberazione, era anche in ottimi rapporti con Rocco Buttiglione nonché grande ammiratore di Camillo Ruini e don Giussani.

PER ESSERE completi, sperando che non ci sia sfuggito qualcosa, quando Gianni Alemanno lasciò il Campidoglio, Alfio sospirò: «Ho sperato che Alemanno potesse essere il Petroselli di destra». Già, Luigi Petroselli, comunista, primo cittadino di Roma, che negli anni Cinquanta occupava le terre coi contadini. Chissà che cosa avrebbero detto del paragone nonno e zio. Ora piace a Silvio Berlusconi, ma non è cosa nuova perché Fedele Confalonieri disse al Cavaliere decenni fa: «Tranquillo, Silvio, non è comunista». Gli piacciono i grillini. Alle elezioni 2013 scandì: «Se vinco, Marcello De Vito sarà mio vice». Risposta: «Manco ce penso». E Alfio: «Vabbè, scherzavo». Allegro e spiritoso. Giammai comunista. Perché, sia chiaro, «coprire le buche delle strade non è di destra né di sinistra». Senza contare che lui non vuole etichette: è infatti «tutta la vita che combatto contro ogni etichettamento». Missione compiuta.

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