Affari e poteri

«MI CHIEDO: è mai possibile che tutti i geni siano concentrati nel raggio di 70 chilometri, tutti in area fiorentina? Mah…». Sorride sornione Massimiliano Cencelli, classe 1936, il cui cognome ha segnato la storia dell’Italia del dopoguerra. «Tutto nasce da una battuta. Io, era il 1967, facevo parte dei cosiddetti ‘pontieri’ della Dc. Dovevamo mediare […]

«MI CHIEDO: è mai possibile che tutti i geni siano concentrati nel raggio di 70 chilometri, tutti in area fiorentina? Mah…». Sorride sornione Massimiliano Cencelli, classe 1936, il cui cognome ha segnato la storia dell’Italia del dopoguerra. «Tutto nasce da una battuta. Io, era il 1967, facevo parte dei cosiddetti ‘pontieri’ della Dc. Dovevamo mediare tra maggioranza e sinistra del partito. Dissi a Paolo Emilio Taviani: se noi valiamo il 12 per cento, come accade nei consigli di amministrazione dobbiamo avere quel peso negli organi dirigenti e di governo… Così nacque la storia del manuale Cencelli». Storia che il grandissimo giornalista Renato Venditti raccontò in un libro, ora ristampato, nel 1981.

Cencelli, lei ha inventato un metodo spartitorio. Non eravate angioletti.

«C’era un quadro completamente diverso. I partiti erano associazioni di donne e uomini appassionate di politica. Mica andavi in Parlamento così. Quanta gavetta!».

E’ un nostalgico?

«Si figuri. Dico solo che, nella mia Dc, si poteva entrare solo a 21 anni. Tanto che ebbi la tessera di ‘socio aggiunto’ firmata da un certo Alcide De Gasperi. Ora invece…».

Ora invece?

«Sei famoso, sei una star della tv oppure dello sport e ti mettono in lista. Vai alla Camera o al Senato senza un minimo di esperienza, senza avere un partito vero alle spalle. E finisci, non tutti sia chiaro, per farti i fatti tuoi».

Insomma, vuole dire che c’è chi fa affari e magari il leader del partito nemmeno lo sa?

«Più o meno».

Però, tutte queste intercettazioni che mettono in piazza le conversazioni, come nel caso della Guidi e di Gemelli…

«Altolà. Io di queste cose non parlo. Mai mai mai ho chiesto alcunché al telefono. Le dico questa: De Gasperi era iscritto alla sezione del Partito popolare di Borgo Cavalleggeri a Roma. Beh, una volta, mentre parlava al telefono, una voce si intromise e si udì un chiaro ‘E mo’ basta, fatela finita!’».

Oggi si fanno affari come ieri?

«No. Nessun affare allora. Solo divisione del potere. I segretari amministrativi di una volta non si arricchivano. Perché c’erano i partiti, supremi strumenti di mediazione tra società e Stato. Il partito controllava. Poi, la deriva. Eppure, mai visto un segretario amministrativo che si è arricchito. Ricordate Sereno Freato? Stava con Aldo Moro. Fu viceamministratore del partito. Eppure è morto che a malapena poteva pagare le bollette della luce…».

Le intercettazioni di oggi portano alla luce rapporti difficili, sentimenti devastati…

«Ora è così. Ai miei tempi si discuteva tra gentiluomini. Scoppiò lo scandalo della Federconsorzi. Dibattito a Tribuna politica tra Adolfo Sarti, il mio leader Dc, e Giancarlo Pajetta, comunista di ferro. Se ne dissero di tutti i colori. Poi, uscirono dagli studi Rai di via Teulada e andarono insieme in trattoria».

Lei ha votato Pd.

«Sì, le ultime due volte ho votato Matteo Renzi. Che delusione…».

Insomma, tutto da rifare.

«Non saprei. Una volta a capo dell’ufficio legislativo della presidenza del Consiglio c’era un consigliere di Stato. Ora, l’ex capo dei vigili urbani. Di Firenze…».

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