MATTEO Renzi e Roberto Giachetti. Silvio Berlusconi e Gianni Letta con Antonio Tajani. Le telefonate di Sergio Mattarella e Giorgio Napolitano. La casa di Marco Pannella in via della Panetteria a Roma è raffinatissimo porto di mare: premier, ex premier, bracci destri di chiara fama, capi di Stato ed ex inquilini del Colle, candidati al Campidoglio. E poi i sorrisi, i bicchieri sul tavolo, tanto calore umano. Amici e avversari in piacevole conversare, senza contare gli altri protagonisti della vita cultural-politica italiana che lo hanno chiamato. No, non è solo buona creanza verso un uomo attaccato dal male vigliacco. Macché. La visita a Marco che lotta lotta lotta contro un male fisico davvero cattivissimo può esser presa – si condividano o meno le battaglie del leone radicale (definito da Assunta Almirante «un artista») – come la scrittura di un’autobiografia, l’autobiografia di una nazione. Lo stare rilassati e allegri attorno a un tavolo con Pannella deriva da una battaglia che comincia tanti anni fa. Quando Marco, siamo nel 1955, si sente soffocare nel Partito liberale di Giovanni Malagodi. Riunisce gente del calibro di Ernesto Rossi, Leo Valiani (luminose figure di antifascisti europeisti e poco inclini a seguire i dettami di Santa Romana Chiesa), Mario Pannunzio ed Eugenio Scalfari. Fonda (meglio: rifonda) il Partito radicale sulle tracce del verbo del garibaldino Felice Cavallotti, il ‘bardo della democrazia’, l’idealtipo dell’eroe ottocentesco tutto coraggio e vitalità. Vitalità che Pannella mostra subito e che sarà per sempre – lo provano le foto di questi giorni con il suo viso da saggio sorridente, nonostante l’aggressione del tumore che il suo corpo sta subendo – parte integrante di uno «stile di vita radicale». Stile declinato, in quell’Italia preda delle chiese diccì e piccì e con una sparuta pattuglia di area laico-socialista, con queste parole: «Noi siamo radicali, ritenevamo di avere insuperabili solitudini e diversità rispetto alla gente. Non ‘facciamo i politici’. Lottiamo, per quel che crediamo. E questa è la differenza che si dovrà comprendere».

LOTTE pagate a caro prezzo. Il calcolo è artigianale, ma già nel 1975 – secoli fa – Marco aveva collezionato 160 denunce in un’Italia di cambiamenti epocali. Dalla fine della crescita economica, all’esplodere degli anni di piombo e della strategia della tensione. Dal referendum sul divorzio che vide Pannella (in compagnia del socialista Loris Fortuna e del liberale Antonio Baslini) piegare le resistenze di Pci e Dc. Il fronte laico costrinse un riottoso Enrico Berlinguer a schierarsi per confermare la legge umiliando un Amintore Fanfani istigato dalla alte gerarchie vaticane. Per non parlare dell’aborto, della lotta alla fame nel mondo, del caso Tortora… È interessante vedere i protagonisti attorno al tavolo di via della Panetteria, con quella luce calda. Matteo Renzi, voce della ‘nuova politica’. Roberto Giachetti, antico militante radicale, poi magna pars nella giunta romana di Francesco Rutelli, convintissimo sostenitore del progetto del Pd. Silvio Berlusconi, l’uomo che, più o meno discutibilmente, ha di fatto tentato di dare all’Italia un volto bipolare. Giorgio Napolitano, ex uomo forte del Pci che capì come col comunismo reale si andasse poco lontani e capo dello Stato fra i più significativi. Un variegato mondo in cui tutti devono qualcosa a Marco. E non solo in termini di azione politica. Ma, soprattutto, culturale.