PER carità, sono le «iene dattilografe» – dotta citazione ripresa dal compagno Togliatti –, ovvero i giornalisti, a spargere falsità. Calunnie. Lui, Massimo D’Alema (rammentate? Una volta faceva politica e pure a un certo livello), non può aver vaghezza di votare per la candidata grillina in quel di Roma. Impossibile. Mancherebbe di lealtà al «Partito». Ma il punto, e anche i gatti di Torre Argentina lo sanno, non è questo bensì il panico che ora serpeggia nella band di Grillo. «Aiuto! D’Alema sta con noi! Giachetti ci riacchiappa!».

Perché, solitamente, è così. Lo disse anche Renzi. Correva il 2014. «D’Alema – scandì trattenendo a malapena il riso – se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Tutte le volte che parla guadagno un punto nei sondaggi». Perfido. Ingeneroso. «Massimo», infatti, aveva lodato pubblicamente «Matteo». Gli mandava sms. Gli regalava la maglia numero 10 der pupone, Francesco Nostro Totti. Poi, vabbè è solo un dettaglio da iena dattilografa, a D’Alema, Renzi preferì, per la carica di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini. E così l’affettuoso scambio di amorosi sensi finì. Sia chiaro: il disdicevole episodio non convinse D’Alema a tornare a occuparsi di politica. Giammai.

Però, anche qui, ci viene un dubbio: e se invece si fosse immolato ancora una volta per il «Partito»? «Voto la Raggi». Solo tre parole. E Virginia trema…