Del Galà dei Diamanti, a Parma, con tanto di inno nazionale suonato al pianoforte (da Davide Locatelli) davanti a una platea tutta in piedi e pure un po’ commossa, abbiamo già detto. Del presidente della federbaseball Riccardo Fraccari pure. Però c’è un aspetto, relativamente alle parole spese dal numero uno del batti e corri tricolore, che probabilmente va approfondito. Sottolineato. Appoggiato.
Il baseball, ahinoi, è fuori dai Giochi Olimpici. E i Giochi Olimpici sono, per chi fa sport, il massimo della vita. Anche senza vincere l’oro o salire sul podio, essere al Villaggio, vivere un’atmosfera davvero speciale, è qualcosa di unico. Inimitabile. Impagabile.
Siamo fuori dai Giochi, non ci saremo nemmeno a Rio dei Janeiro ma, a Tokyo, nel 2020, ci sarà un po’ più di spazio. Entro il prossimo luglio andrà presa una decisione dalla competente federazione internazionale. Ma, come dice Fraccari, pur con qualche punta di moderato ottimismo, non basta pensare che ai giapponesi il baseball piaccia un sacco. Bisognerà fare i conti anche con il karate che, da quelle parti, più che una disciplina, è quasi una religione. E allora? Allora continuiamo a lavorare e sperare. Con una distinzione di base. Sappiamo di aprire, con questa considerazione, una piccola ferita che probabilmente solleverà qualche polemica.
Qual è la distinzione? Siamo abituati a pensare che l’atletica leggera sia la regina di tutti gli sport. Non vogliamo certamente cancellare questa definizione. Però all’atletica (almeno nella maggioranza delle specialità) manca un aspetto. Non ci siete ancora arrivati? Eccola allora la piccola provocazione. Lo sport più bello (per noi, non abbiamo la pretesa che questo pensiero possa essere universalmente riconosciuto, al contrario) è quello di squadra. Perché se è vero che, nell’atletica l’uomo (o la donna) si trova da solo a cercare di migliore le proprie prestazioni, a lavorare sodo per crescere, lo sport di squadra è la sublimazione della vita. O, per lo meno, della vita come la intendiamo noi.
E’ vero che nel terzo millennio c’è un individualismo spiccato. La ricerca quasi spasmodica del piacere personale. Ma, per come interpretiamo la vita e, perché no, pure lo sport, non c’è niente di meglio di una squadra. Della donna (o dell’uomo) che si mette al servizio del compagno. Che cerca aiuto nel compagno. Che sprona il compagno a crescere, a migliorare. Che si aspetta lo stesso atteggiamento da parte del compagno di squadra. Vincere è bello, certo, ma prendiamo due foto. La foto di un tennista o di un maratoneta che trionfa nella gara della vita. Belli, bellissimi. Ma l’abbraccio di un gruppo (ci può essere anche un pianto condiviso per una delusione, certo) ha qualcosa di più. Lo vedi negli sguardi, nelle occhiate, nei sorrisi. Nel trasporto di un gruppo.
Nessun predicozzo sociologico. Solo una piccola considerazione. Il baseball (anche se il lanciatore in certi momenti è solo, così come il battitore) è uno sport di squadra. Vedere una squadra, giocare bene, come un’orchestra, riempie il cuore. E allora? Allora niente. Rivogliamo il baseball (e anche il softball, sicuramente) ai Giochi. Speriamo che Tokyo 56 anni dopo la prima edizione dei Giochi giapponesi, possa regalarci una sorpresa che aspettiamo da tempo.