Chi vince festeggia, chi perde spiega. Torno per un attimo alla Coppa dei Campioni. E torno in rete, sui social network. Premessa: ognuno ha il diritto di esprimere le proprie opinioni (purché non si trascenda nell’offesa gratuita, ma questo, per fortuna, non è il nostro caso). Mi era piaciuta, tanto, l’idea-proposta di un tifoso di accogliere la squadra comunque con un applauso, con un abbraccio. Come se avesse vinto. Il tributo a un gruppo che, negli ultimi anni, sta regalando tante soddisfazioni agli appassionati del batti e corri di Bologna.
Tanto mi è piaciuta questa idea, quanto mi lasciano perplesse alcune considerazioni. Ho letto di tutto, com’è normale che sia. Anche il contrario di tutto. Ho letto anche qualche considerazione bizzarra (“il closer che non regge più di due inning”… ma un closer è chiamato, per definizione a un numero limitato di lanci, per chiudere e “salvare” le partite, diversamente farebbe un altro mestiere…) e diversi attacchi al monte di lancio della Fortitudo. In particolare al pacchetto degli italiani. Senza vederli mai nominati ho visto appunto considerazioni su chi sarebbe troppo vecchio (De Santis perché ha 35 anni?), sui closer che non reggono più di due inning e altre considerazioni del genere.
Come ho premesso, ognuno ha il diritto di manifestare la propria opinione, ci mancherebbe. Però, ci sono alcuni aspetti che mi lasciano perplesso.
La prima considerazione che mi viene, in merito a Rotterdam, è che comunque la Coppa si è decisa sul filo dell’equilibrio (tranne che in gara-tre) e che di fatto sono stati gli episodi a “condannare” la Fortitudo al secondo posto.
A proposito di episodi e di come le partite possano essere strane e girare le serie, vi ricordo la prima gara-scudetto dell’anno scorso. Al Falchi. Williamson non fa vedere la pallina al Rimini. Punteggio sul 5-1 quando Williamson cede la pallina a Raul Rivero nell’ultimo inning. Risultato in tasca, dati alla mano, perché Raul non ha subito punti in tutta la stagione. E invece – episodio, succede – Raul va in crisi, la Fortitudo si lascia rimontare e superare e perde gara-uno.
La seconda è che, dati alla mano, non mi sembra che la Fortitudo abbia un monte italiano in difetto. Al contrario. Non vedo, in circolazione, fenomeni italiani capaci di assicurare sempre e comunque la vittoria. Al contrario, Riccardo De Santis, un’icona del baseball italiano, è una sicurezza. Nelle ultime due uscite non è stato così brillante come in passato, ma Riccardo (reduce da un periodo di stop) è un punto di riferimento. Luca Germano Panerati non è ancora ai livelli di due anni fa. D’accordo anche su questo. Ma una società, secondo me, deve non solo investire, ma anche saper aspettare. Luca resta uno dei migliori e dei più giovani lanciatori. Va seguito, coccolato, aiutato. Su Pietro Paolo Cadoni (lo so, croce e delizia, strikeout da campione ad altri lanci meno efficaci) ci sono le referenze di Roberto Radaelli, il pitching coach della Fortitudo. Vogliamo metterci a discutere Radaelli? Radaelli è come un brano di Bruce Springsteen: poesia pura (a scatola chiusa) non si discute perché è un artista della specialità. E Pippo Crepaldi? Ha preso qualche legnata dagli olandesi, vero. Non era andato benissimo contro San Marino. Ma anche lui ha talento da vendere. E’ giovane e la Fortitudo, che è una società che cerca i risultati oggi, ma deve pensare anche al domani, ha il diritto-dovere di investire su di lui. Perché Pippo è davvero bravo. Questo restando alla Fortitudo: guardiamoci attorno. Chi ha atleti più forti in Italia? Lo ammetto, ho una passione per Corradini, perché ha sempre fatto impazzire la Fortitudo. Però tengo stretti i ragazzi scelti da Mura e Nanni. Perché insieme con le valutazioni tecniche, vanno fatte, forse, anche quelle delle capacità di inserimento in un gruppo. Carlos Richetti, che poche settimane fa ha fatto impazzire l’UnipolSai ha giocato più volte con la maglia Fortitudo. Ma se non è rimasto forse è perché, come tra gli innamorati (metafora) non è mai scattata la scintilla giusta. E allora a quel punto era normale che ognuno continuasse per la sua strada. San Marino ha preso Junior Oberto, che abbiamo visto da queste parti. Ma, nel massimo rispetto di Oberto, non l’ho mai visto dominare e chiudere le partite con continuità.
Mi tengo la Fortitudo e il suo monte di lancio, sostanzialmente per un motivo (al di là del talento che secondo noi resta altissimo). Mi riallaccio alla prima considerazione e alla sconfitta in casa, un anno fa, contro Rimini. Se la Fortitudo non fosse stata una squadra vera, un gruppo coeso, una grande famiglia, dopo aver perso gara-uno in quel modo, con quell’andamento, sarebbe stata spazzata via da Rimini. E invece fu capace di ricompattarsi e regalare a Bologna uno scudetto bellissimo. Questo non significa che io abbia certezze sull’eventuale successo della Fortitudo in questo campionato. Significa però che il gruppo ha qualità morali e risorse caratteriale infinite. E siccome il talento c’è, io mi fido della Fortitudo e del suo manager, Marco Nanni. E della saggezza del presidente Stefano Michelini. Un altro che conosce e ama il baseball.