Basta dare un’occhiata a quelli che vengono chiamata “social network” per rendersi conto di come, attorno alla Fortitudo UnipolSai Bologna, ci sia un pizzico di scetticismo. Sarà che Marquis Fleming non è Joey Williamson, sarà che l’inizio della stagione non è stato scoppiettante, sarà che la posizione di classifica, attualmente, vede la Fortitudo al terzo posto alle spalle della coppia (assolutamente inedita), Rimini-Padova.
E’ vero che Fleming non è Williamson, non ha le stesse cifre, la stessa padronanza del monte. Ed è altrettanto innegabile constatare come i campioni d’Italia siano al terzo posto (ma a una sola vittoria di distacco dalla coppia regina) e che magari, negli ultimi dieci giorni, abbiano perso due partite che, sulla carta, si potevano vincere: la seconda sfida contro Godo in Romagna e il primo confronto, a Roma, contro il Città di Nettuno.
Dati inconfutabili, certo, ma da qui a dire che questa Fortitudo non potrà andare da nessuna parte – sempre sui social network abbiamo trovato dubbi sull’ingresso nei playoff – ce ne vuole.
Non abbiamo certezze sul fatto che questa squadra possa vincere. Perché alla fine vince uno solo: uno in Italia e uno in Europa. E per vincere le componenti sono tante: un pizzico di fortuna, il talento, la profondità del monte di lancio. Conta anche il budget, sicuramente, ma se valessero solo le “figurine” e i soldi spesi, passateci la similitudine calcistica, l’Inter di Massimo Moratti avrebbe 84 scudetti.
La Fortitudo Baseball è una società seria: che investe quello di cui dispone (restando al calcio, senza voler infierire, vi dice nulla il caso Parma?), che cerca di attirare nuovi partner e sta portando avanti, da tempo, un progetto che riguardare l’area del Gianni Falchi per garantirsi una certa autosufficienza economica e logistica.
Società seria che si è affidata a un direttore sportivo di indubbie capacità, Christian Mura e a un manager che nei suoi dieci anni di storia da capo allenatore ha vinto davvero tanto, Marco Nanni.
E se proprio non vi convincono questi argomenti aggiungiamo che Alessandro Vaglio è probabilmente il miglior giocatore italiano in assoluto. Che Alex Sambucci ha dato, in battuta, quella potenza che mancava. Che Cesar Suarez non è quello dei fuoricampo (si sapeva) ma che sa girare la mazza al momento opportuno. Che capitan Liverziani, a quarant’anni compiuti, è ancora un grandissimo esempio. Che Paolino Ambrosino è un esterno di indubbie capacità, così come il suo gemello nettunese Alessandro Grimaudo. Guillermo Rodriguez è, stagione passata alla mano, un diesel: verrà fuori, in battuta, al momento opportuno. E non vogliamo certamente dimenticare Juan Carlos Infante, il lead-off, e poi Marco Sabbatani, Alex Russo e Francesco Fuzzi. Un gruppo vero la Fortitudo anche nel parco lanciatori: con Pietro Paolo Cadoni che cresce, con Filippo Crepaldi che sta affinando le doti di closer, che Riccardo De Santis ha il piglio del ragazzino con l’esperienza del veterano. In attesa di Luca Germano Panerati, che ancora non si è visto. Poi ci sono l’omone, al secolo Raul Rivero, che non sembra accusare la fatica e va via di strikeout. Vero, poi, Fleming non è Williamson e Marinez è ancora troppo alterno. Ma Marco Nanni e il suo staff – da Roberto Radaelli a Lele Frignani senza dimenticare Fabio Betto, Michele Masiello e Mario Labastidas – stanno lavorando per far crescere il gruppo. Non abbiamo la sfera di cristallo e non abbiamo certezze. Ma siamo sicuri che la squadra potrà migliorare, che potrà arrivare fino in fondo. Poi, alla fine, vince uno solo. Serve un po’ di fortuna. O anche un Omone che in gara-sette ipnotizza le mazze avversarie. E allora giochiamocela. Giochiamocela senza paura.