Fortitudo: buon senso, saggezza e l’esempio di un capitano

Metti la Fortitudo a tavola… Proprio così: la società di Stefano Michelini, Christian Mura, Marco Nanni e Marco Macchiavelli si ritrova, come ogni anno, al ristorante-pizzeria La Gatta. Un vero e proprio covo per il club biancoblù che, questa volta, chiama a raccolta anche un giocatore. E che giocatore: si tratta del capitano, Claudio Liverziani. […]

Metti la Fortitudo a tavola… Proprio così: la società di Stefano Michelini, Christian Mura, Marco Nanni e Marco Macchiavelli si ritrova, come ogni anno, al ristorante-pizzeria La Gatta. Un vero e proprio covo per il club biancoblù che, questa volta, chiama a raccolta anche un giocatore. E che giocatore: si tratta del capitano, Claudio Liverziani. Un paio d’ore in allegria con la stampa che, durante la stagione, ha seguito passo dopo passo la conquista del nono scudetti. Questo è in fondo il segreto della Fortitudo. Che ogni anno si ritrova per celebrare il Natale. Si ritrova indipendentemente dai risultati. Che la stagione sia andata bene o che non sia andata affatto.

Certo, negli ultimi anni qualcosa il club datato 1953 ha sempre portato a casa qualcosa di importante – dal 2009 a oggi, per non tornare troppo indietro, due scudetti e tre Coppe dei Campioni -, ma lo spirito non è mai cambiato, nemmeno quando le cose non andavano troppo bene. E forse è questo buonumore (o vogliamo chiamarla serenità?) di sottofondo uno degli ingredienti principali di un gruppo che continua a restare ai vertici del batti e corri di casa nostra.

Un gruppo coeso, che sa ridere e scherzare. Che sa, soprattutto, ridere di se stesso. Intendiamoci, non stiamo parlando del paradiso terrestre perché i mal di pancia e i malumori (ci viene in mente, per esempio, quando Sato si “chiamò fuori” con un comportamento diciamo bizzarro e discutibile) ci sono, come in tutti i gruppi. Però vengono metabolizzati, digeriti. Affrontati, soprattutto, tutti insieme. A pranzo, l’altro giorno, capitan Liverziani ricordava l’importanza delle grigliate al Falchi. Una grigliata che, per esempio, seguì anche la quinta gara della finale scudetto, quando Rimini e in particolare Corradini cancellarono le mazze biancoblù portando i romagnoli sul 3-2. Poteva essere l’inizio della fine. Invece – chiaro che la grigliata non è un rimedio sicuro, ma dà l’idea di un approccio particolare – la Fortitudo seppe ricompattarsi. La squadra diede fiducia a Joey Williamson, regalandogli una partita tranquilla in gara-sei (poi il Vichingo ci mise tanto di suoi, è chiaro). E affidò la palla decisiva a Raul Rivero, il pitcher che aveva deluso (il termine tradito parrebbe un po’ eccessivo) in gara-uno e gara-tre. Il risultato? Quello che sappiamo tutti. Una Fortitudo capace di ribaltare l’inerzia e portare a Bologna il nono tricolore.

Lo spirito giusto, dicevamo. Come la capacità della società di ironizzare sulla mancanza, dal 2009 a oggi, di uno slugger, del battitore di potenza capace di sparecchiare le basi. Avrebbe potuto accampare mille scuse (in fondo ai vincenti viene permesso tutto) e invece no. La Fortitudo ha affrontato il problema senza nascondere nulla. Cambiando, rispetto al passato, anche strategia. Non più la ricerca del clone (per altro mai trovato) di Austin, ma un altro tipo di giocatore, capace di integrarsi nel gruppo e provare a vincere.

Ci prova la Fortitudo. Ci prova con il sorriso sulle labbra. Ci prova con il buon senso del proprio presidente, Stefano Michelini, con lo scrupolo e la passione del direttore sportivo Christian Mura. Con la saggezza del manager Marco Nanni. E con l’esperienza di Claudio Liverziani, capace di ritrovarsi a 39 anni con l’etichetta di mvp del campionato. Proprio Claudio è l’esempio di una Fortitudo che sa cadere e rialzarsi. Con orgoglio e determinazione. Senza nascondere nulla, senza cancellare il proprio passato. L’esempio di Claudio deve essere davvero contagioso, perché i compagni lo seguono. Perché Marco Nanni sa di poter contare su un altro allenatore aggiunto. Perché la Fortitudo è la Fortitudo…

E buon Natale, a questo punto, al club che, per fortuna, ricorda a Bologna che si può vincere senza fare pazzie e senza dilapidare i soldi.

Già, la Fortitudo, un modello che forse andrebbe studiato da queste parti. E magari imitato, perché se il buon senso e l’umanità non sempre sono vincenti, aiutano comunque a imboccare la strada giusta.

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