Tutto esaurito? Chissà. I biglietti, stando alle informazioni dell’ufficio stampa della Virtus Bologna vanno a ruba. Eppure in calendario, per domenica 2 marzo,  c’è solo un derby tra Virtus – Bologna contro Roma – e, per di più, in un orario insolito e forse indigesto a chi ama i canestri, 16,30.

Il fatto è che domenica succederà qualcosa di particolare, perché, per la terza volta negli ultimi diciotto anni, la Virtus Bologna ritirerà una maglia. Dopo quella di Roberto Brunamonti (numero 4) del 1996 e quella di Renato Villalta (numero 10) del 2005, tocca a Sasha Danilovic (numero 5).

Il tam tam è partito sui social network, sui quotidiani. Non ce ne vogliamo Brunamonti e Villalta, ai quali siamo legatissimi, ma in questo momento il ritiro della canotta di Sasha ha una valenza mille volte superiore.

Il motivo? Quando Brunamonti, per la prima volta, ricevette questo onore, c’era una Virtus diversa. Non ci riferiamo al fatto che fosse una squadra vincente (anche se questo aspetto ovviamente non guasta) ma al fatto che fosse composta da giocatori e tecnici nei quali il pubblico si riconosceva. C’erano, andiamo a memoria, e ci scusiamo con chi, magari abbiamo dimenticato, Augusto Binelli, Alessandro Abbio, Flavio Carera, Riccardo Morandotti e Alberto Bucci. C’era uno zoccolo duro nel quale riconoscersi. Zoccolo duro che – chiaro che il problema non riguarda solo la Virtus ma tutto il movimento cestistico italiano – progressivamente è stato smantellato.

Con tutto il rispetto possibile: chi potrebbe essere, oggi, il giocatore nel quale identificarsi? Chi ricorda gli stranieri (tanti, troppi) delle ultime stagioni? Sono dati, sui quali, riflettere. Ecco perché il ritiro della maglia di Danilovic offre uno spunto degno di nota. Proviamo a bocce ferme a pensare chi, tra 10-15 anni, riferendoci agli ultimi sette-otto, potrebbe ricevere un’onorificenza del genere.

Proposte? Suggerimenti?

Il premio a Danilovic ci dice che, come sempre, Sasha vince. Vince perché ci dà una lezione di appartenenza. E vince due volte perché, nell’intervista concessaci qualche giorno fa, Danilovic ha parole d’amore per Bologna e per il suo grande rivale, Carlton Myers.

In campo si sono “menati”, forse se ne sono dette di tutti i colori (ricordate il neuroderby del 1998?), ma fuori dal campo erano personaggi che si rispettavano, pur trovandosi su posizioni opposte.

Chi non conosce la storia non può avere futuro. Ecco perché, quella di Sasha, può essere l’ennesima lezione vincente. Partire dal passato e dalla storia, per costruire solide basi a assicurarsi un futuro. Lungo vita a Sasha Danilovic e a Carlton Myers, personaggi unici che ci mancano un sacco.