L’Acquadela mi ha offerto un’opportunità. Per qualche mese mi sono sentito come Marty McFly e la sua DeLorean. Vi dice niente “Ritorno al futuro”? E’ una pellicola di una trentina d’anni fa. Grazie a una curiosa macchina del tempo il protagonista, Marty McFly, riusce in qualche modo a modificare il suo presente. COn l’Acquadela, sia chiaro, non ho potuto modificare il presente, ma ho potuto viaggiare a ritroso nel tempo, scoprendo personaggi speciali, aneddoti e curiosità di un gruppo fantastico. Per un cinquantunenne, quale sono, risalire indietro di cinquant’anni è stata davvero un’esperienza preziosa. Preziosa perché ho ritrovato alcuni aspetti di Bologna che magari avevo dimenticato. Altri ne ho approfonditi, avendoli vissuti solo marginalmente.
Il volume “Acquadela, mezzo secolo tra sogno e realtà” mi ha dato modo di far parte di due gruppi di lavoro. Da un lato quelli dell’Acquadela (Bruno Benassi, Stefano Stagni, Giorgio Rizzoli, Renato Rizzoli, Lamberto Vacchi), dall’altro quelli della Labanti&Nanni (Nabila Saad e Massimo Sala). E’ stato un periodo intenso e, alla fine, è uscito un prodotto che sfiora il chilo di peso. Non è una battuta: l’ho pesato effettivamente, si tratta di 800 grammi di storia, con centoquarantaquattro pagine (e i saluti del presidente del Coni, Giovanni Malagò, del sindaco di Bologna e del suo assessore allo sport, rispettivamente Virginio Merola e Luca Rizzo Nervo), una cinquantina di foto in bianco e nero, più di centosettanta a colori. E ancora filastrocche, tabelle, organigramma, lettere datate, ritagli di giornale. L’Acquadela è un pezzo di storia di Bologna. Una storia fatta di fatica e sudore perché quelli dell’Acquadela – da Tomaso Sandri, il leggendario presidente purtroppo scomparso a Pier Paolo Cristoferi, da Romano Baccaro a Monica Alvoni Tamburini – non sono contenti se non sgobbano come dei matti. E allora corsa, sì. Ma soprattutto maratone o ultramaratone. Per dirla tutta l’ultramaratona è una cosa moderna: quelli dell’Acquadela, però, tra Passatore, Bologna-Mare e Bologna-Firenze, hanno cominciato a farle quando ancora non si chiamavano così. Sono andati a nord, hanno sfiorato il Circolo Polare Artico per essere protagonisti in massacranti maratone sulla neve, con gli sci ai piedi. Non contenti di tutto ciò, hanno portato in città una pista in erba sintetica per lo sci da fondo. Hanno portato lo sci da fondo in Piazza Maggiore. Hanno introdotto gli skiroll. Si sono inventati una corsa che è diventata una classica, la Casaglia-San Luca, che ha portato qua Gelindo Bordin e Martti Vainio, Frank Shorter e Orlando Pizzolato, Franco Fava e tanti altri. Hanno portato trentamila persone in Piazza Maggiore per un Palio del quale si sente ancora la mancanza, facendo correre attorno al Crescentone Stefano Mei e Gennaro Di Napoli. Hanno incrociato le strade di Lucio Dalla e Gianni Morandi, di Alberto Tomba e Maria Canins, di Francesco Moser e Maurilio De Zolt. Hanno fatto un sacco di cose e, questo sacco, in omaggio a quello che recentemente ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (“L’Europa non esisterebbe senza i libri”), è diventato un volume. Ci sono delle imprecisioni, ci sono degli errori e forse anche delle omissioni (non volute per altro), ma c’è soprattutto lo straordinario lavoro di un equipe che in tutti questi mesi non si è risparmiata. Adesso c’è un motivo in più per cercare questo libro. Non perché l’abbia scritto il sottoscritto o perché Gianni Schicchi, il fotografo, ci abbia aggiunto la sua arte. Ma perché il volume (che si può trovare nella sede dell’Acquadela nel cuore del Dall’Ara, o al Kik Bar di Bruno Benassi) serve anche per raccogliere fondi a favore di un’associazione, Assi.Sm, che si occupa di sclerosi multipla. Perché ci sono tante storie che meritano di essere rese pubbliche perché l’Acquadela in tutti questi anni ha portato avanti la sua missione nel senso più nobile del termine. Insegnando lo sport. Insegnando valori che sono sacrificio, sofferenza e allenamento. Senza dimenticare che con l’Acquadela si impara a partecipare, si impara a vincere. Ma si sa anche perdere. A testa alta. Perché alla fine vince solo uno. Ma anche quando non ha vinto l’Acquadela ha saputo comunque trovare uomini (e donne, è chiaro) veri e tanti amici.