Meno muscoli e piu’ diplomazia per l’America

L’accordo quadro con l’Iran e l’annuncio che a gennaio si aprira’ a Ginevra un nuovo round di trattative sulla crisi siriana si uniscono all’avvio delle trattative con i talebani di qualche mese fa e sono il segnale inequivoco di uno spostamento delle politica estera americana dall’uso della forza militare all’uso della diplomazia per risolvere le crisi […]

 L’accordo quadro con l’Iran e l’annuncio che a gennaio si aprira’ a Ginevra un nuovo round di trattative sulla crisi siriana si uniscono all’avvio delle trattative con i talebani di qualche mese fa e sono il segnale inequivoco di uno spostamento delle politica estera americana dall’uso della forza militare all’uso della diplomazia per risolvere le crisi internazionali.

 Obama, che aveva promesso l’uscita definitiva e progressive dalle guerre in Irak e Afghanistan non solo ha mantenuto la prima ed e’ avviato a mantenere la seconda promessa ma ha per adesso evitato due nuove possibili guerre (Siria e Iran) riprendendo vieppiu’, grazie al lavoro del segretario di stato Kerry, il filo del dialogo tra israeliani e palestinesi.

Nessun trionfalismo. Tutto si basa su ghiaccio sottile. L’intesa con l’Iran e’ provvisoria e per adesso baratta per sei mesi il congelamento del programma di arricchimento del progetto nucleare militare iraniano con un alleggerimento limitato delle sanzioni. Se e come si arriverà tra un anno ad un vero accordo con L’Iran e’ da vedere. Di sicuro per adesso la crisi e’ rinviata e la bomba iraniana un po’ piu lontana. Ancor piu’, si chiude una stagione di guerra fredda tra il regime degli ayatollah e Washington iniziata il 4 novembre del 1979 con la presa dell’ambasciata americana a Tehran. E questo non e’ poco.

Come non e’ poco essere riusciti a riportare al tavolo delle trattative di Ginevra almeno alcuni degli attori della guerra civile siriana, anche se (vista la defezione dell’Esercito libero siriano che si e’ chiamato fuori dai colloqui) non significa certo che si possa poi trovare una via d’uscita e giungere ad una vera tregua e a un governo di transizione. Il successo insomma non e’ affatto garantito ma la corsa verso il disastro sembra essere stata rallentata dando almeno una qualche ipotesi di soluzione. Tiriamo almeno un sospiro di sollievo. Poi, succederà quel che deve.

Nulla e’ naturalmente gratis. Sull’altro lato della medaglia ci sono infatti la legittimazione del regime degli ayatollah e di quello di Assad, quantomeno come interlocutori, e l’accantonamento della pretesa di “regime change” e trionfo della democrazia, ben esemplificato dall’atteggiamento pragmatico nei confronti della controrivoluzione egiziana che ha visto Obama e Kerry turarsi il naso e tornare a dialogare con quell’ancien regime egiziano che democratico certo non era pure ha servito egregiamente gli interessi dell’America per decenni.

La lezione per Obama e’ che questo non e’ un mondo per idealisti, per i repubblicani  (e per molti democratici) che questo non e’ un mondo nel quale l’America possa più imporre con la forza militare la propria asserita missione civilizzatrice. Quanto all’Europa, ha viaggiato in ordine sparso ed e’ stata come sempre, chi più (Francia e Germania), chi meno (Gran Bretagna) colta di sprovvista. Non certo una novità.

Ma che si siano abbassate le tensioni e’ una vittoria per tutti. Israele (che naturalmente la pensa diversamente) incluso. Assisteremo ancora ad esibizioni  muscolari come i voli dei bombardieri americani nella autonominata e pretestuale zona di esclusione cinese e molte altre ne vedremo, ma l’opzione militare sembra essere diventata in questa fase solo una delle opzioni possibili e non certo la preferita. Come e’ bene che sia.

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