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Alessandro Farruggia IL CAIRO —
Si fa presto a dire rivoluzione. Dopo le teste che rotolano, serve capacità di governo oltre che coraggio. E questa è terribilmente mancata nell’Egitto che credeva bastasse liberarsi di Mubarak per entrare in una età dei diritti e delle opportunità. L’Egitto è oggi uno stato praticamente fallito, paralizzato economicamente e nel quale il crimine è esploso, con un più 300% degli omicidi e le rapine aumentate di dodici volte rispetto alla caduta di Mubarak, nel gennaio del 2011.  E il governo egemonizzato dal partito della Libertà e la Giustizia _ ovverosia dei Fratelli Musulmani _ ha contributo al progressivo deteriorarsi del quadro economico e sociale.
Per dare l’idea di come corruzione e malaffare imperversino, basti un aneddoto raccontato da Carlo Cingolani, un ingegnere Fs che lavora presso le ferrovie egiziane. «Sulla linea Kena-Safaga — racconta — hanno rubato  120 chilometri di linea ferroviaria già installata: 120 km capisce? Ci avranno messo un mese, lavorando in centinaia con mezzi pesanti. Ma gli autori, ci dice la Polizia, sono ignoti». O meglio, sono noti, ma pagano laute mance.
Con la macchina statale paralizzata da un governo non in grado di gestirla, l’economia è andata in tilt, a partire dal settore turistico che contribuiva per il 12% del Pil con una preziosa iniezione di valuta estera  e ora ha visto ridursi del 70% il giro d’affari. Il Paese ha cercato di difendere il cambio ma a dicembre ha dovuto alzare bandiera bianca (la moneta egiziana da allora ha perso il 15%) con il risultato che s’è svenato per nulla.  «Le riserve estere — racconta Fakri El Fiky, professore di economia ed esponente del partito Wafd — sono precipitate dai 36 miliardi di dollari di prima della rivoluzione ai 16 di maggio dopo esser state a 13,4 a marzo. Il deficit statale è del 12%. Abbiamo perso 20 miliardi di entrate. Abbiamo avuto 4 downgrading del credito e adesso siamo siamo a Ccc+. Poco più che titoli spazzatura. In sostanza, stiamo andando dritti verso il default».
Dal governo dei Fratelli Musulmani sono venute solo non scelte. A partire dal no alle condizioni del Fondo Monetario Internazionale per concedere un fondamentale prestito di 4.8 miliardi che si stava cercando di ottenere da oltre due anni. Si è preferito  rivolgersi a Qatar, Arabia Saudita, Emirati, Turchia e Libia che hanno garantito 10 milioni di aiuti che hanno trasformato il Cairo, culturalmente un faro nel mondo arabo, in uno stato politicamente ed economicamente sotto cappello dei paesi vicini.
«Stanno sopravvivendo grazie agli aiuti degli altri paesi arabi — dice Roberto Vercelli, vicedirettore di Alexa bank, una delle maggiori del paese — perchè non potevano fare altro, non essendo stati capaci di crescere. L’Egitto è come congelato, la disponibilità della valuta  estera è un problema. La burocrazia è oppressiva. E si continua a sussidiare tutto per paura di rivolte. L’elettricità ha un costo ridicolo e così il carburante per autotrazione e per le pompe di irrigazione».  Solo in sussidi energetici se ne vanno 16 miliardi di dollari all’anno, e altri 4 servono a garantire un prezzo politico al pane: eppure nonostante questo flusso di denaro, il costo del diesel è cresciuto, con grandi malumori della popolazione  che stretta dalla crisi — almeno 4.500 le aziende che hanno chiuso dal 2011 — diventa sempre più povera. Nel 2009 la percentuale di egiziani sotto la linea di povertà era del 21%, nel 2012 è salita al 25%.

Anche così si spiega la rivoluzione 2.0, che ha restituito ai militari il bastone del comando. Nasce da un disagio vero della povera gente, dalla delusione di un intero Paese, dal tradimento delle speranze di piazza Tahrir.

Ma nega il processo democratico, si basa sui tank e gli arresti degli oppositori politici ed è quindi sostanziale restaurazione del regime che fu. In un colpo solo spazza la speranza che fosse possibile integrare nel processo democratico le masse radicali islamiche e istituzionalizza il fatto che c’è democrazia e democrazia: da noi è un valore in sè, altrove la si può sempre sospendere se la piazza lo chiede. Le implicazioni a livello regionale non saranno secondarie.