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Dice il capo della maggioranza repubblicana alla Camera dei rappresentanti, John Bohner, che “Obama si e’ fatto un sonnellino mentre l’Iraq crollava”. Difficile dargli torto. Dopo il ritiro del dicembre 2011 (una promessa mantenuta, a differenza di quella di chiudere Guantanamo) l’America ha scelto di tenere un profilo basso in Iraq. Anche troppo basso. Pur fornendo armi all’esercito iracheno (droni, missili hellfire, fucili che si sono aggiunti agli elicotteri e alle humvee e ad altri blindati lasciati al momento del ritiro) e anche addestramento, politicamente l’America si era sganciata dall’Iraq. E l’Europa, vien da se, anche di piu’. Voleva dimenticare un incubo durato troppo tempo.

Ma gli incubi ritornano. Dopo aver fatto un disastro non te ne puoi andare come se nulla fosse senza conseguenze. O meglio puoi farlo in un paese strategicamente non rilevante, non in Iraq. Per il petrolio che contiene, per la sua posizione cruciale sia in una ottica di contenimento dell’Iran che di equilibri mediorientali (Siria, questione curda, contenimento della minaccia jihadista). E perché i tuoi soldati hanno versato il loro sangue, e molto di più ne hanno fatto versare ad avversari e civili, per quella terra. Se lo fai, ne paghi un prezzo.

Andarsene in quel modo, senza essersi preoccupati di sostenere di più la nascita di un governo se non stabile almeno un po meno settario e fragile dell’attuale, e senza un più sostanzioso impegno di assistenza alla creazione di forze armate credibili, era l’anticamera dello sfascio dell’Iraq. Paese dove ora i jihadisti e i loro alleati tribali (come le tribu Albu Isa e Albu Nimr e al Jimelat nella provincia di Anbar) e baahatisti (Esercito degli uomini d’ordine di Naqshbandi) rischiano seriamente di arrivare a Baghdad. Il che fatalmente porterebbe allo smantellamento dell’Iraq in tre entita’: aree sciite, aree sunnite e nord curdo. Non e’ un problema solo di politica interna irachena, ci riguarda tutti.

Una spartizione in aree omogenee non sarebbe a mio avviso un dramma di per se. Ma questo solo in teoria. I peshmerga curdi si sono gia’ mossi in questa direzione e si sono presi Kirkuk, che reclamano da sempre, non solo per i grandi giacimenti di petrolio che contiene il suo sottosuolo. E fin qui, nessun problema. Quanto ai sunniti, l’avanzata dell’Isil e’ esattamente nella direzione della nascita di una entita’ sunnita (anche se permane una divisine tra i jihadisti che vorrebbero la nascita di un califfato che unisca Siria e l’Iraq sunnita e e tribù e bahaathisti che invece guardano ad uno stato sunnita iracheno). E questo e’ il nocciolo della questione, uno stato jihadista islamico nel cuore del Medio Oriente. Se gli Stati Uniti (e per quel che vale, l’Europa) vogliono evitarlo devono muoversi rapidamente. E risolversi a contare anche sul più fedele supporter del governo filosciita di Baghdad, l’Iran, che potendo incidere davvero sul pantano iracheno, da “satana” diventerebbe per l’Occidente un interlocutore essenziale a evitare ulteriori problemi. Ironica a volte, la storia.