radicaleDi male in peggio. Il pugno di ferro messo in atto dai militari egiziani con lo sgombero forzato dei sit in dei sostenitori di Morsi causando altre centinaia di morti e migliaia di feriti è insensato anche perchè avviene all’indomani della mezza apertura dei Fratelli Musulmani, che avevano fatto un passo in avanti dal loro Aventino e si erano detti disponibili a “colloqui politici”.

  Invece di cogliere il senso politico dell’offerta riprendendo la accennata disponibilità mostrata dai radicali islamici durante il fallito tentativo di mediazione euroamericano e iniziare un serio confronto con i fondamentalisti _ che, va ricordato, hanno un reale seguito nel paese e al potere sono andati democraticamente _ la risposta dei “governo interinale” (leggi, golpista) è stata la peggiore: la repressione.

Con questa scelta i militari dimostrano disprezzo dei diritti umani e una totale incomprensione delle dinamiche democratiche e stanno portando al Paese alla guerra civile. La polarizzazione crescente della socità egiziana richiederebbe flessibilità, inclusione, moderazione. In questa fase renderebbe indispensabile un governo di larghe intese che possa portare il paese al voto in alcuni mesi. Ma nonostante la pressione dei paesi occidentali e di molti paesi islamici la risposta è opposta. Questa svolta drammatica produrrà fatalmente una mobilitazione e forse una insurrezione generalizzata delle forze islamiche radicali, forti nelle aree rurali e nei piccoli centri come nelle aree più povere del Cairo e di Alessandria e causerà altra polarizzazione, altra violenza, altri morti. E fatalmente inciderà nell’intero quadro mediorientale producendo ulteriore instabilità.

Le dimissioni del vicepresidente El Baradei fanno cadere la maschera al regime che ormai è solo militare. E’ chiaro che a dirigere le danze sono i militari, il ministro dell’interno e i servizi segreti. Di questo è impossibile non tenere conto.

La comunità internazionale può chiedere con ulteriore forza la fine della repressione ma chi può davvero incidere sono gli Stati Uniti, e per la semplice ragione che con i loro aiuti militari forniti al Cairo _ 1.3 miliardi di dollari all’anno _ hanno un argomento molto convicente per spingere  i militari a maggiore moderazione.  Rifiutarsi di farlo perchè Israele – che teme per l’insicurezza nel Sinai – lo ha chiesto, sarebbe un grave errore e finirebbe per alimentare ulteriormente la spirale di violenza.