Attacco in Siria, quale è la strategia?

Usare le armi chimiche contro una popolazione civile è un crimine. Usare ogni arma _ QUALSIASI arma _ contro una popolazione civile è un crimine. Ma prima di decidere un intervento militare, anche a protezione di una popolazione civile, occorre non solo pensarci bene ma soprattutto avere ben chiara la strategia. Avere un punto di caduta, un obiettivo chiaro […]

Usare le armi chimiche contro una popolazione civile è un crimine. Usare ogni arma _ QUALSIASI arma _ contro una popolazione civile è un crimine. Ma prima di decidere un intervento militare, anche a protezione di una popolazione civile, occorre non solo pensarci bene ma soprattutto avere ben chiara la strategia. Avere un punto di caduta, un obiettivo chiaro e raggiungibile. Sennò si è dei dilettanti. E dei dilettanti con un arsenale atomico sono piuttosto pericolosi.

E qui inizio ad avere i primi dubbi. Quale è il senso di un attacco come quello che stanno pianificando Washington, Londra e Parigi? “Punire” il regime di Assad va bene, moralmente è giustificato e forse dovuto, ma cosa ci si aspetta dal signore di Damasco, che sia intimidito da un attacco che gli distrugga i centri di comando e controllo di qualche unità, metta fuori uso gli aeroporti militari per qualche settimana, bombardi i centri di produzione delle armi chimiche e dei missili, alcuni radar, alcune batterie missilistiche? Sarà impaurito perchè magari gli colpiranno il palazzo presidenziale (ovviamente ben vuoto)? Dal marzo 2011 Assad è impegnato in una spietata, furiosa repressione delle manifestazioni di piazza e poi in una guerra civile che ha fatto tra 100 e 120 mila vittime, 130 mila tra arrestati e scomparsi, tre milioni di sfollati nel paese e 1,916,387 rifugiati nei paesi vicini. Assad dovrebbe preoccuparsi perchè avrà qualche centinaio di suoi uomini uccisi, qualche decina di aerei, mezzi blindati e installazioni distrutte e forse una parte delle sue riserve di gas incenerite e dei suoi missili distrutti? Ma per favore.

Assad sa che nessun paese occidentale vorrà “mettere sul terreno gli scarponi”, cioè mandare truppe. Assad sa che gli occidentali non faranno quel che davvero teme, cioè non armeranno gli  oppositori del suo regime perchè questi sono frammentati, inaffidabili e soprattutto in buona parte pericolosamente troppo vicini ad al Quaeda e all’islam salafita radicale. Assad sa pure _ perchè l’ha apertamente detto Washington _ che in agenda non c’è un cambiamento di regime a Damasco. In altre parole sa che è tutta scena mdiatico/militare e che lo strike anglo-franco-americano, nel fragore dei Tomahawk lanciati in diretta tv,  non sposterà i termini della questione nè condizionerà la guerra civile. E quindi Assad lo userà per compattare il regime e rafforzare l’asse con paesi e forze a lui vicini, Iran in primis. In più, potrebbe utilizzarlo, se lo strike sarà massiccio, per alzare il livello dello scontro, cercando di tirare (come fece Saddam, fortunatamente senza successo) nella contesa Israele. Per incendiare cioè l’intero Medio Oriente. seguendo la logica del tanto peggio/tanto meglio.

Strategicamente, ne vale la pena? Magari punire Assad e il suo sanguinario regime ci farà sentire meglio per aver vendicato l’uccisione di alcune migliaia di innocenti, ma rischia di creare un pasticcio ancora peggiore e non migliorare affatto la sicurezza della gente che in Siria vive. Anzi, potrebbe perversamente innescare altri attacchi con il gas, per invischiare sempre di più gli occidentali in una logica di risposta che a lungo andare è inostenibile non volendo entrare davvero in guerra contro la Siria e magari l’Iran assieme.

 Restando nel novero dell’improbabile tentativi di assassinio di Assad in stile “operazione coperta” da spy story e dato che non siamo disposti a sopportare i costi economici e umani di un cambio di regime per via militare, la sola strada praticabile è quella di una opressione diplomatica – sui russi e anche sugli iraniani – per riportare tutti al tavolo di trattativa per una Ginevra 2 o come la si vorrà chiamare.  Debole certo e pure difficile da ottenere, ma questa è la realtà delle cose. Sparare qualche decina di missili farà certamente molto felici i produttori degli stessi, placherà la sete di azione di un Obama moralmente ben motivato ma soprattutto prigioniero degli indici di gradimento e calmerà il senso di frustrazione di qualche cancelleria che o si sopravvaluta o ha nostalgia del colonialismo. Ma rischia di far solo danni ulteriori.

 

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