Prosegue la carrellata sulle elezioni presidenziali dei Capo dello Stato italiani. Dopo De Nicola (1946), Einaudi (1948), Gronchi (1955), Segni (1962), Saragat (1964), Leone (1971), Pertini (1978), è la volta del sardo e più giovane presidente della Repubblica, Francesco Cossiga (1985). Più famoso per le ‘picconate’ date, negli ultimi due anni di mandato, al sistema politico italiano, che per i primi cinque di rigoroso mutismo.
Il quadro politico. Dall’Italia in bianco e nero a quella a colori. Tranne nelle istituzioni (1982-’85).
L’Italia del 1985 è, vista trent’anni dopo, di certo più vicina a quella attuale che a quella passata. Innanzitutto, è un’Italia ‘a colori’, dopo quarant’anni di Italia ‘in bianco e nero’. E’ un Italia ricca, in piena ripresa industriale ed economica, lontana dagli anni bui della contestazione e del terrorismo. Solo il sistema politico e istituzionale è bloccato, come avviluppato su se stesso e lontano anni luce se rivisto oggi. Del resto, dopo gli scioglimenti anticipati delle Camere nel 1979 e 1983, il quadro è molto semplice da tracciare. Il Pci, che ha ‘contro-svoltato’ nel 1980, chiusa la parentesi della ricerca infruttuosa di un compresso storico con la Dc: la linea politica dell’alternativa democratica (e della ‘questione morale’ contro un sistema dei partiti degenerato, a partire dallo scandalo P2) lanciata dal Berlinguer II fase, non ha però portato frutti, condannando il Pci a un lungo declino, oltre che a un lungo isolamento, che il fugace sorpasso sulla Dc alle elezioni europee del 1984 e dovuto soltanto alla tragica morte dello stesso Berlinguer, non è certo riuscito a frenare. I partiti di governo hanno ridato, invece, linfa vitale alla loro alleanza, ma con una nuova formula. E’ quella dei governi quadripartito e, poi, pentapartito (DC-PLI-PRI-PSDI-PSI) che vedono due soli attori protagonisti. La Dc, che ha svoltato a sua volta dall’apertura a sinistra della segreteria Zaccagnini, a quella del ‘preambolo’, e cioè della chiusura a ogni dialogo con il Pci, ma del dialogo con il Psi, e non con la destra, del trio Piccoli-Andreotti-Forlani. E il Psi, ormai saldamente nelle mani di Craxi che, dopo la breve esperienza del I governo laico, a guida Spadolini (1981-’82), diventa nel 1983 il primo presidente del Consiglio italiano leader di un partito socialista, fatto mai accaduto prima. D’altre parte, però, le elezioni politiche del 1983 come pure quelle successive, del 1987, quando Cossiga è già presidente della Repubblica, dimostrano che i rapporti di forza restano gli stessi: la Dc perde consensi, ma non tracolla (32,9% nel 1983 e 34,3% nel 1987), il Psi di Craxi non sfonda (11,4% nel 1983, 14,1% nel 1987), il Pci vede erodere in modo constante i suoi consensi (29,9% nel 1983, 26,6% nel 1987), i partiti laici restano stabili, l’Msi pure e la solo novità sono i Verdi.
Da tutte le ‘rose’ esce fuori un solo nome: quello di Cossiga (1985).
Tanto fu facile l’elezione di Francesco Cossiga a presidente della Repubblica, tanto furono aspri e drammatici gli ultimi due anni (1991-’92) della sua presidenza dopo cinque anni passati nel più rigido riserbo e silenzio. Il king maker della sua elezione è Ciriaco De Mita, neo segretario della Dc, leader della corrente di sinistra (detta ‘di Base’), storico avversario del leader del Psi Bettino Craxi.
Siamo nel mezzo della prima fase dei governi di pentapartito e della (teorizzata, vero patto scritto) ‘alternanza’ tra Dc e Psi alla guida del governo. Craxi è presidente del Consiglio dal 1984 e, tramite due governi a sua guida, lo resta fino al 1987. De Mita reclama la presidenza della Repubblica per la Dc, dopo sette anni del socialista Pertini, e nessuno, neppure Craxi, ha nulla da eccepire. I tentativi di Pertini di farsi rieleggere, a 87 anni, cadono subito nel vuoto. De Mita e Craxi sono d’accordo pure nel non volere più ‘primedonne’ al Quirinale e di Pertini ne hanno tutti abbastanza. L’eterno candidato della Dc, Amintore Fanfani, viene scartato subito: non ha più presa né peso, nella Dc. La Dc sottopone ai suoi grandi elettori una rosa di nomi: Cossiga è il più gradito a tutti. Ben oltre gli altri candidati della rosa: Andreotti e Forlani, oltre che Fanfani. Taciturno, scontroso, sardo nell’animo, ancora ferito dalla morte di Moro che ne causarono le dimissioni da ministro degli Interni, dopo una breve esperienza a palazzo Chigi (1979-1980) e un breve ritiro dalla scena politica, Cossiga era tornato in azione con la presidenza del Senato (1983) per succedere a Fanfani che doveva formare un governo. Riluttante fino all’ultimo, convinto da De Mita che lo assedia in modo laborioso e tenace, dallo scranno di palazzo Madama (e proprio con De Mita che, appena due anni dopo, di nuovo insiste per mandarlo al Quirinale, proverà a rifiutare l’investitura: “Sette anni là dentro, in quella prigione dorata, lassù sul Colle…”) non lesina consigli a Pertini specie su questioni procedurali. “Pertini – racconterà anni dopo a Paolo Guzzanti – voleva avere il diritto di nominare i senatori a vita senza consultarsi con nessuno e pretese di nominarne non cinque nel complesso, ma cinque per ogni presidente. Si impuntò e infine vinse”. Il Pci, che pure aveva apertamente polemizzato con il Cossiga ministro degli Interni del caso Moro, teme l’isolamento istituzionale e vuole rientrare in gioco: il nuovo segretario, Alessandro Natta, dice subito di sì.
Il ‘metodo’ De Mita e la sua soddisfazione:”è il mio capolavoro politico”.
Ma il sì del Pci è, in prima battuta, solo al metodo proposto da De Mita (“l’elezione del capo dello Stato è cosa diversa dalla maggioranza e dall’alleanza di governo”) e non al nome. De Mita allora propone una rosa che comprende anche Andreotti e Forlani: entrambi bocciati dal Pci. Poi, pian piano, nelle diverse ‘rose’ di candidati esce il nome di Cossiga. Al Pci non dispiace: viene dalla sinistra dc, è fuori dai giochi da tempo, è riservato e parente di Berlinguer (cugini di terzo grado). Natta, che ha già votato Cossiga alla presidenza del Senato, ci sta subito e spera anche di fare un dispetto a Craxi. Il Psi, a parte Pertini, fatica a trovare nomi da contrapporre. Inoltre, Craxi tiene al governo, non al Colle ed ecco che arriva il via libera del Psi. De Mita si convince che è fatta e che Cossiga può essere eletto al I scrutinio, votato da quasi l’intero arco costituzionale: Dc, Psi, Psdi, Pli, Pri, Pci, Sinistra indipendente. Solo missini, demoproletari e radicali tuonano contro l’inciucio maggioranza-opposizione all’insegna del compromesso storico: voteranno scheda bianca. Resta da convincere lui, Cossiga e De Mita le vince tutte: lo alletta con un mandato corto, con possibilità di dimissioni dopo pochi anni per favorire la riforma istituzionale; si fa promettere che terrà come segretario generale Maccanico, irpino come lui, e che nominerà tre nuovi senatori a vita per accontentare Pci e partiti laici. Alla fine, De Mita esulta: “Ho compiuto il mio capolavoro politico”. Quando, alle 16 del 24 giugno 1985, il Parlamento si riunisce in seduta comune, i giochi sono fatti. Il voto a Cossiga diventa un plebiscito e la votazione, che sorprende tutti, compresi i funzionari della Camera, dura meno di 2 ore.
Modalità di elezione di Cossiga (24 giugno 1985, I scrutinio, 752 voti).
Francesco Cossiga viene eletto ottavo presidente della Repubblica italiana il 24 giugno 1985 da un ampia maggioranza trasversale e al I scrutinio. I Grandi elettori sono 1011, i votanti sono 977, il quorum è fissato a 674 (maggioranza di 2/3) e i voti che Cossiga raccoglie sono 752, anche se le 141 schede bianche, le 77 su altri candidati e le 7 nulle mostrano che il gradimento non è assoluto.
Molti i record battuti da Cossiga: a 57 anni è il più giovane presidente della Repubblica mai eletto (del resto, nel 1978 era stato il più giovane ministro dell’Interno, nel 1979 il premier più giovane, nel 1983 il più giovane presidente del Senato…) e riceve il più alto numero di voti in un’elezione presidenziale (752, quasi cento in più del quorum richiesto), infine è il primo eletto al I turno, fino a quel momento, nella storia della Repubblica, con l’eccezione di De Nicola. E’ il ‘metodo Cossiga’. Cossiga sarà presidente dal giorno del giuramento (3 luglio 1985) al giorno delle sue dimissioni (28 aprile 1992).
Una carriera politica complessa e tormentata, quella di Cossiga.
Impossibile tracciare una biografia complessa come quella di Cossiga (Sassari, 1928 – Roma, 2010). di famiglia massonica e azionista, imparentata con i Berlinguer, Cossiga a 24 anni è già docente di diritto costituzionale comparato. Dossettiano, cioè esponente della sinistra dc, della prima ora, ma anche amico del suo conterraneo ed esponente della destra dc, Antonio Segni, che lo fa eleggere deputato nel 1958, suo ‘aiutante di campo’ della cd ‘brigata Sassari’ che porta Segni al Colle (1962) è anche il più giovane sottosegretario italiano (alla Difesa) nel III governo Moro (1966) e già qui viene a contatto e conoscenza della struttura paramilitare di ‘Gladio’, oltre che del ‘Piano Solo’. Dal 1976 al 1978 ministro dell’Interno nei governi Andreotti di solidarietà nazionale, prima è, per la sinistra extraparlamentare e per i radicali, il ‘Kossiga’ con la ‘K’, e cioè il responsabile morale della morte della studentessa Giorgiana Masi (1977), poi diventa l’eroe negativo ma tormentato e amletico del caso Moro, suo amico, che non riesce a liberare e salvare durante la prigionia (1978). Poi la vitiligine (malattia della pelle), il breve rientro sulla scena con la presidenza del Consiglio (1979), lo scandalo Donat Cattin (l’accusa è di aver agevolato la fuga del figlio dell’esponente dc), il nuovo ritiro dalla scena politica, la presidenza del Senato (1983), la sorprendente elezione al Colle.
La presidenza Cossiga. Da ‘sardomuto’ a ‘externator’.
La cosa incredibile è che, nei primi quattro anni della presidenza Cossiga, non succede niente. Il presidente esterna pochissimo (i media erano abituati alle continue esternazioni di Pertini), non parla quasi mai, non fa notizia. I vignettisti lo ritraggono come il presidente “sardomuto”. Lui taglia nastri, studia i suoi autori cattolici preferisce, coltiva collezioni (soldatini) e passioni (è radioamatore) eccentriche. Improvviso, complice la caduta del Muro di Berlino, il risveglio.
Le ‘picconate’ di Cossiga accompagnano la fine delle Prima Repubblica (1991-’92)
“Voglio togliermi alcuni sassolini dalle scarpe” l’esordio, poi inizia a ‘picconare’, verbo coniato da lui stesso, tutto e tutti. Inizia con il Csm e i giudici, passa al Tg1 che manda in onda servizi che alludono a Gladio (nome in codice ‘Stay Behind’, rete militare anticomunista varata dalla Nato e dagli Usa in Europa in funzione anti-Urss ma tenuta segreta ai Parlamenti dei Paesi occidentali), infine mette nel mirino Andreotti, che diventa il suo arcinemico per aver ‘passato’ le informazioni su Gladio ai giudici (Casson) e che, insieme a molti altri esponenti, quasi tutti Dc, finisce sul banco degli imputati delle sue ‘esternazioni’, concesse per lo più al giornalista amico Paolo Guzzanti. E così Occhetto diventa uno “zombie coi baffi”, Violante un “piccolo Wishinsky”, i giudici antimafia “giudici ragazzini”, il gruppo Repubblica-L’Espresso “la nota lobby”, la Dc un “partito corrotto”. Cossiga esalta il ruolo di Gladio e della P2, difende persino golpisti finiti nel dimenticatoio (Sogno), è ossessionato dai complotti contro di lui, veri o inventati che siano. Le opposizioni iniziano a chiederne a gran voce le dimissioni fino alla formale richiesta di impeachement avanzata dal Pds (1991). La Dc, ben presto stufa di Cossiga, lo scarica. In particolare Andreotti, ma pure tutti gli altri. Contro Cossiga gli aggettivi, ormai, si sprecano: pazzo, golpista, fascista, depistatore, piduista, schizofrenico. Ma Cossiga, che si “autodenuncia” il 26 novembre 1991 chiedendo che gli venga contestato il reato di cospirazione politica per Gladio e che si dimette dalla Dc il 23 gennaio 1992, parla agli italiani in tv il 25 aprile 1992, annunciando in modo traumatico e drammatico le sue dimissioni (formalizzate il 28 aprile), in netto anticipo rispetto alla fine del suo mandato, aveva capito e in qualche modo predetto la fine del ‘sistema’ politico della prima Repubblica e fiutato meglio di altri il vento di Tangentopoli. Del resto le sue prime parole critiche al sistema dei partiti iniziano con il messaggio di Capodanno del 1987, proseguono con le esternazioni del 1989 e del 1990, il biennio 1991-’92 ne è solo l’acme. Il messaggio di Cossiga alle Camere del 26 giugno 1991 sulle riforme istituzionali, lungo 82 pagine, chiedeva, per fare un’esempio, una “rigenerazione istituzionale per l’Italia” e un “secondo tempo per la Repubblica”.
L’ennesimo esilio e l’ennesimo ritorno sulla scena politica (1998-2000).
“Esule volontario” prima in Portogallo (come il re Umberto II…) e poi in Irlanda, nella temperie della nascita della Seconda Repubblica, Cossiga sembra scegliere una nuova eclissi dalle scene. Ma tornerà, ancora una volta. Critico feroce della prima stagione dell’Ulivo, diventa antiberlusconiano e fa nascere prima l’Udr (1998), che poi diventerà l’Udeur di Clemente Mastella (1999). La sua pattuglia di deputati e senatori, che Cossiga definisce “gli straccioni di Valmy” saranno decisivi per la nascita del I governo D’Alema (1998-2000). Tradito da Mastella, fonda l’UpR con Pri e Psi (1999), esce dalla maggioranza, non appoggia il II governo D’Alema e si riavvicina al Polo di centrodestra. Poi, fino alla morte (2010) e da senatore a vita, un nuovo, lungo, silenzio sulle vicende della politica, interrotto solo da ‘esternazioni’ su qualche pm e sugli ‘anni di piombo’ e la necessità di un’amnistia che chiuda per sempre la stagione del terrorismo rosso (Curcio e Franceschini) e nero (Mambro e Fioravanti).
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