ALTRO che centristi. Sulle unioni civili le maggiori grane per Matteo Renzi potrebbero essere «organiche» al Pd.
Il fronte dei cattodem, a cui si aggancia qualche centrista (vedi Cicchitto di Ncd), che spinge sull’affido rafforzato per ammorbidire la stepchild adoption (l’adozione del figlio biologico del partner), non è compatto. Il deputato Beppe Fioroni, da sempre in prima linea contro le adozioni gay, dice no a qualsiasi compromesso sul ddl Cirinnà. «Un tema come le unioni civili o le adozioni gay non può essere oggetto di mediazione come se fosse una trattativa politico sindacale. Io credo alla libertà di coscienza, voterò no». E il cattodem lascia intendere che, fallita la sua battaglia costituzionale sul referendum d’indirizzo, appoggerà quello abrogativo lanciato dai centristi. Senza contare che per fine gennaio i cattolici con un’ala di Area popolare stanno preparando a Roma un nuovo ‘Family day’ («sarà una marcia», dicono gli organizzatori).
Ma anche qui, bisogna fare i dovuti distinguo, con la Cei che, per ora, evita di schierarsi apertamente con la piazza. Sul fronte opposto, la linea resta intransigente. Ivan Scalfarotto, falco dell’ala laica del Pd, chiude la porta a qualsiasi compromesso: «La stepchild adoption è già una mediazione, decisa al congresso 2013». Gli fa eco Andrea Marcucci: «È la volta buona». Ma quando la battaglia si fa dura, c’è chi pensa di giocare il jolly. Tant’è che Renzi ha già dato mandato a Maria Elena Boschi per sciogliere l’ennesima complicata matassa interna. Il ministro delle Riforme, dopo l’assenza strategica per evitare le polemiche sul caso banca Etruria, torna quindi in prima linea per aiutare il premier sul nodo della stepchild adoption.

IL 18 DICEMBRE, infatti, ci sarà la direzione Pd e, sebbene dal Nazareno trapela che non si andrà alla conta, non mancheranno tensioni. Nei prossimi giorni è attesa un’assemblea di gruppo (con la Boschi e forse Renzi) dove – ricordano dai piani alti del Pd – emergerà un’indicazione prevalente di voto pur con la libertà di coscienza. La questione, comunque, resta delicata. Perché se le barricate di Alfano potrebbero essere facilmente aggirate da un mini rimpasto che ‘risarcirebbe’ i centristi con un ministero (Dorina Bianchi, l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini o il viceministro Enrico Costa nella casella degli Affari Regionali), l’asse coi 5 Stelle in Aula non lascia sereni i vertici dem.
Il timore, causa voto segreto, è che i grillini non votino il ddl Cirinnà puntando il dito sulla fronda dei cattolici Pd. I numeri, insomma, traballano. E il tempo per far rientrare la fronda interna stringe (il ddl sarà al Senato il 26 gennaio).

Articolo pubblicato su QN l’8 gennaio 2016

Rosalba Carbutti

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