E se la ditta diventa democristiana?

Ebbene sì, a sto giro la ditta, come la chiama Pier Luigi Bersani, rischia di diventare democristiana. Il motivo è semplice: il vero duello si gioca tra Matteo Renzi ed Enrico Letta, rispettivamente ex margherita ed ex dc. In pratica, i due talenti Pd sarebbero i nuovi Massimo D’Alema e Walter Veltroni che per anni […]

Ebbene sì, a sto giro la ditta, come la chiama Pier Luigi Bersani, rischia di diventare democristiana. Il motivo è semplice: il vero duello si gioca tra Matteo Renzi ed Enrico Letta, rispettivamente ex margherita ed ex dc. In pratica, i due talenti Pd sarebbero i nuovi Massimo D’Alema e Walter Veltroni che per anni si sono contesi il partitone. Viene quindi da chiedersi che cosa resterà della ditta, se Renzi diventerà il nuovo segretario. Di certo, si rischia di perdere l’eredità degli ex Pci-ex Pds-ex Ds, costretti a convogliare il proprio appoggio su Gianni Cuperlo, ex Fgci, ma poco conosciuto alle masse e difficilmente in grado di competere con l’appeal mediatico del rottamatore. Quindi, che cosa si fa? D’Alema ha tentato l’impossibile, cercando di convincere Renzi a correre per la premiership, ma di lasciare il Pd nelle mani degli ex Pci-Pds-Ds, un po’ come successe con Prodi. Il sindaco di Firenze, però, che sa bene com’è andata, questa volta non vuole farsi fregare e ha già detto in un paio di occasioni di essere pronto alla segreteria, facendo incetta di fan in quelle feste dell’Unità (ora feste Dem) un tempo appannaggio dei dirigenti che lui vuole rottamare. Non è un caso che il povero Pier Luigi Bersani, ormai talmente isolato da essere quasi costretto (salvo tirare fuori dal cilindro un altro candidato) ad appoggiare il dalemiano Cuperlo, si trovi smarrito. Quando anche l’Emilia-Romagna rossa volta le spalle ai big della ditta per abbracciare un ex scout e stendergli i migliori tappeti rossi in circolazione, significa che qualcosa sta cambiando in modo irreversibile. Ma se i dirigenti, a uno a uno, stanno cambiando casacca (ultimo endorsement a sorpresa, quello di Franceschini) per non venire emarginati in vista del Congresso, la base pare acconsentire con entusiasmo a questo giro di valzer, mettendo in soffitta tutte le antiche liturgie (vedi la parola ‘compagno’) e i vecchi riti.

Ma siamo sicuri che basta salire sempre e comunque sul carro del presunto vincitore per fare il bene della ditta e dell’Italia? E se per una volta, invece, si cercasse di fare una vera rivoluzione, parlando prima di idee e poi di leader? Capisco la difficoltà, ma forse sarebbe qui il primo passo verso il cambiamento. A sinistra, ma anche (e soprattutto) a destra.

Rosalba Carbutti

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