Intervista pubblicata su QN il 4 aprile 2015

GIUSEPPE DI FEDERICO, professore emerito di Ordinamento giudiziario all’università di Bologna, sulle intercettazioni la pensa come Romano Prodi.
Uso politico?
«Sì. Il caso Mastella è esemplare. Tanto da avere un effetto dirompente sulla tenuta di un governo».
Ora c’è il caso D’Alema.
«Ecco, appunto. Si deve proteggere un cittadino da risultanze di intercettazioni che non abbiano un rilievo penale e riguardino persone senza nessuna imputazione».
D’Alema è un cittadino che fa notizia…
«Su cui viene proiettata un’ombra. Che lo danneggia e tocca la sua dignità. Una cosa gravissima».
Nel suo saggio («I diritti della difesa nel processo penale e la riforma della giustizia», Cedam) denuncia ‘abusi’.
«Quando si toccano le intercettazioni salta fuori che è possibile danneggiare l’attività dei pubblici ministeri».
Che è intoccabile.
«Non lo dico solo io. Lo pensava pure Giorgio Napolitano, quand’era presidente della Repubblica».
Che cosa diceva?
«‘Se questo è un problema, questi politici che si lamentano che cosa fanno?’».
In effetti su questo tema pure Renzi va a rilento.
«Toccare questa materia fa scattare la solita molla…».
Cioè?
«Far passare coloro che vogliono tutelare il cittadino come persone che puntano a sottrarre poteri ai pm ostacolando la lotta alla criminilità».
Come risolvere il dilemma?
«Perseguendo il pm che sbaglia».
C’è già la responsabilità civile…
«Piccola punzecchiatura. Come il taglio delle ferie».
Lei che cosa vorrebbe?
«Si pubblica un’intercettazione non penalmente rilevante. Chi controlla? Chi è il responsabile? Il pm che ha l’obbligo di vigilare. Quindi è lui che va sanzionato. Perché è obiettivamente responsabile».
Quale tipo di sanzioni può immaginare?
«Potrebbe essere una sanzione disciplinare con una ripercussione sulla carriera molto rilevante, così come avviene in altri Paesi».
La ‘riforma’ Gratteri propone fino a sei anni di carcere ai giornalisti che pubblicano le intercettazioni irrilevanti, ‘salvando’ i pm.
«Gratteri è un pubblico ministero, vi meravigliate? Questa è una soluzione da pm».
La sua ricetta, invece?
«Cito un giornalista famoso, Massimo Bordin, che dice più o meno così: ‘Per la protezione del cittadino è più importante separare la carriera dei pm da quella dei giornalisti che quella dei pm da quella dei giudici’».
Il giornalista Sorgi ha rivelato che, nel 2008, le intercettazioni su Mastella gli vennero fornite addirittura dalla prefettura…
«Ah, l’istinto di competizione…».
Le sembra possibile?
«All’estero non capita. In Italia, caso quasi unico al mondo, si litiga tra procure. E, se si rivela un segreto d’ufficio, è tutto un rimpallare la colpa dal magistrato o all’avvocato difensore…».
Di questo lei si occupa nel suo libro.
«Nella mia ricerca utilizzo 4.265 interviste a penalisti italiani fatte nel 1992, 1995, 2000 e 2013. Ben oltre il 52,1% ritiene che ci sia un uso eccessivo delle intercettazioni, mentre il 66,9% pensa che vada perseguito davvero il reato di rivelazione di segreto d’ufficio».
I tempi, quindi, sono maturi?
«Non si farà niente. In Italia i problemi che riguardano il processo penale non si affrontano. La magistratura ha un controllo in materia del processo legislativo che opera in tutti i gangli decisionali. Dal ministero della Giustizia fino alla Corte costituzionale».
Quindi che governi la destra o la sinistra è uguale?
«Mah, la sinistra potrebbe essere facilitata. La destra se tocca le toghe si trova contro la sinistra, ma se lo fa Renzi si troverà contro solo Sel, i 5 Stelle e il Fatto quotidiano».
Quindi Renzi è avvantaggiato rispetto a Berlusconi…
«Eccome. Bisogna vedere se ne ha la voglia e il coraggio».
Ha dubbi?
«Come Guardasigilli voleva Gratteri. Un magistrato. E poi c’è Cantone… Al ministero della Giustizia mica ci sono io, ma le toghe. È tutto nelle loro mani».

Rosalba Carbutti

Twitter@rosalbacarbutti

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