Articolo pubblicato su QN (Carlino, Nazione e Giorno) il 14 luglio 2014
ROMA
I partiti piangono. Tagli, traslochi, cassa integrazione, contratti di solidarietà e cene di autofinanziamento sono solo alcuni degli escamotage per aggirare casse che più vuote non si può. Ai dipendenti del fu Pdl toccherà la cassa integrazione, mentre Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd, ammette: «A metà estate potrebbero partire i contratti di solidarietà per i dipendenti del Nazareno. Quelli locali, invece, decideranno in autonomia. Alcuni hanno già usufruito della cassa integrazione e di quella in deroga».
Ma se i democratici devono fronteggiare il rosso di 10,8 milioni (3 in più del 2012) per Forza Italia la situazione è di profondo rosso. Ai 15,6 milioni di perdita degli azzurri dell’anno scorso, c’è da sommare quella del Pdl (il partito ha chiuso nel novembre scorso) che ha segnato nel 2013 oltre 18 milioni di disavanzo. Senza contare la zavorra che si porta dietro dagli anni precedenti, pari a oltre 83 milioni di euro di debiti. In sintesi: il buco complessivo 2013 di Pd, Forza Italia e Lega (che perde 14,4 milioni, 4 in più del 2012) arriva a 40,8 milioni e sale alla cifra monstre di 60 considerando la ‘Berlusconi spa’ in toto. Una situazione grave sulla quale aleggia l’abolizione del finanziamento pubblico che, dal 2017, azzererà il fiume di denaro di rimborsi elettorali di cui i partiti hanno beneficiato in questi anni. Per intenderci: dei 182 milioni di cui i partiti disponevano fino al 2011, si è passati nell’estate 2012 a 91 l’anno. La riforma (messa in cantiere dal governo Letta) prevede una riduzione della somma progressiva: 25% nel 2014, 50% nel 2015, 75% nel 2016, per un totale, nel triennio, di 136,5 milioni. Il problema? Nella discussione parlamentare nessuno ha pensato alle risorse per le recenti Europee e regionali, lasciando i partiti a secco di altri 45 milioni.

LA SOLUZIONE? Battere cassa agli eletti. La Lega se la passa malino (contributi a 3,8 milioni a fronte dei 6,8 del 2012), mentre il Pd prescrive per statuto che i parlamentari diano una quota al partito di circa 1.500 euro al mese (18mila all’anno) con tanto di lista dei versamenti soggetti a detrazione fiscale sul sito. La minoranza dem nel 2013 non si è tirata indietro, vedi Bersani (21.400 euro), Fassina (21.250), Cuperlo (18mila) e nemmeno le ministre di osservanza renziana come Boschi (14.250) e Madia (15.750). Non manca neanche il ribelle Mineo che provocò un mezzo terremoto nel partito rifiutandosi: «Non pago il pizzo al Pd, alla Rai guadagnavo di più». Per il senatore dissidente, un versamento di 14.250 euro. Il tesoriere Bonifazi minimizza: «Quella lista non è precisa. C’è chi versa tutto in un’unica soluzione, chi a tranche, chi mensilmente…». Di certo c’è che la polemica tra parlamentari virtuosi e non ritorna sempre in auge in tempi di ristrettezze. E al Nazareno circola voce di un giro di vite che arriverà da settembre: «Si pubblicherà online chi ha dato l’obolo e chi no». Una sorta di lista di buoni e cattivi. I grillini lo fanno già, tant’è che online basta cliccare sulla foto dei parlamentari per vedere rendicontati vitto, alloggio e trasporti.

Rosalba Carbutti

Twitter@rosalbacarbutti

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