Direzione Pd, intesa sul filo del rasoio

«Il filo  non si è completamente rotto». I cosiddetti ribelli sintetizzano così il morale della minoranza Pd alla vigilia della direzione dem. Ma se i pasdaran della minoranza da Miguel Gotor a Federico Fornaro ieri sono rimasti fermi alla parola «elettività» del Senato (i cittadini devono scegliere i consiglieri-senatori), in serata dalla festa dell’Unità di […]

«Il filo  non si è completamente rotto». I cosiddetti ribelli sintetizzano così il morale della minoranza Pd alla vigilia della direzione dem. Ma se i pasdaran della minoranza da Miguel Gotor a Federico Fornaro ieri sono rimasti fermi alla parola «elettività» del Senato (i cittadini devono scegliere i consiglieri-senatori), in serata dalla festa dell’Unità di Bologna Pier Luigi Bersani ha dettato la linea: «L’accordo è a un millimetro». Raccoglie il capogruppo Pd Ettore Rosato: «Pronti a colmare le distanze».

QUINDI? Che cosa succede oggi all’attesa direzione del Pd convocata da Matteo Renzi?

A sentir Maria Elena Boschi («la minoranza si trovi in pizzeria e si metta d’accordo, sono fiduciosa, la riforma si chiuderà entro il 15 ottobre») questo confronto non sembra essere destinato a un duello finale, manco fossimo sul set di un film di Sergio Leone. Certo Matteo Renzi vorrebbe accaparrarsi il ruolo di Clint Eastwood, ma sembra difficile che si arrivi a tanto.

«Di sicuro si voterà», assicurano ai piani alti del Nazareno. Ma ciò che è probabile è che Renzi farà un richiamo all’unità del Pd per evitare «cavilli» e trovare una mediazione.

Nella sua relazione il premier «farà il punto della situazione a 360 gradi su tutte le riforme approvate finora e parlerà molto d’innovazione e situazione economica», sintetizzano da Palazzo Chigi. La direzione Pd non si esprimerà sul testo di un possibile emendamento di mediazione, ma voterà «un documento che fissi alcuni criteri politici o molto più probabilmente la relazione del segretario», rivela un alto dirigente renziano.

Se sarà o meno una resa dei conti si scoprirà alle 15,30 di oggi.

«Certo, dipende dall’atteggiamento della minoranza», scherzano al Nazareno. E c’è anche chi, come Matteo Orfini, da Modena, ribadisce la linea dura: «La posizione della minoranza non può diventare quella di tutto il Pd». Stesso ragionamento sul fronte opposto. «Bisogna vedere se il clima della direzione sarà dominato da ultras come Giachetti e Carbone, o da Tonini… ma non credo si arriverà allo scontro», ribatte il senatore ribelle Fornaro. Conferma un ex Ds, molto vicino a Bersani: «Il barometro è buono». Giorgio Tonini, vicecapogruppo Pd al Senato, pontiere tra le due anime del partito, in effetti prospetta scenari positivi: «Nessuno vuole rompere, anche perché la minoranza Pd poi deve spiegare su che cosa rompe…».

STANDO ai sondaggi, infatti, il tema ‘modifica del comma 5 dell’articolo 2 del ddl Boschi’ lascia la maggior parte degli italiani indifferente. Per Tonini «va bene un intervento chirurgico sull’articolo 2, ma se poi diventa una bomba a mano non ci stiamo». Già, fino a che punto la maggioranza sarà disposta a usare il bisturi e la minoranza ad accettare gli interventi?

Bisognerà vedere che cosa deciderà il premier e leader Pd. Perché se Renzi, come ostenta, ha i numeri a Palazzo Madama (Tonini dice che l’ordine è di 170 a favore e 100 contro), far passare la riforma con verdiniani, ex forzisti ed ex grillini non rende una grande immagine al Pd. La cosiddetta ‘zona grigia’ resta fluida. Tra i senatori di Ncd, 4 o 5 esprimeranno il loro dissenso, ma potrebbero anche arrivare a dieci, magari non presentandosi in Aula. Poi si parla di 3 o 4 azzurri pronti a votare col Pd, ma la campagna acquisti non è finita. Dalle parti della minoranza dem, poi, Fornaro fa sapere che i ‘ribelli’ sono compatti. «Siamo e restiamo 25, forse 28, non 15-18 come fanno filtrare i renziani». Forse un’intesa converrebbe a tutto il Pd. Renzi compreso.

Articolo pubblicato su QN il 21 settembre 2015

Rosalba Carbutti

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