Sembrava quasi fatta, grazie al lodo del «comma 5» dell’articolo 2. Peccato che Pier Luigi Bersani a metà pomeriggio metta in discussione l’idillio e tiri una brusca frenata. «Noi diciamo una cosa che capiscono anche i bambini: diciamo che il Senato debba essere elettivo, devono decidere gli elettori. Questo deve essere chiaro e va scritto. Semplicissimo e da qui non ci si scosta».

Tradotto dal bersanese da alcuni luogotenenti della minoranza Pd: «Il testo di massima dell’intesa è irricevibile».
Secondo i ribelli dem, il testo dell’emendamento, frutto della mediazione che darà alle Regioni il potere di scegliere come eleggere i senatori-consiglieri, non è scritto in modo chiaro.
«Non basta dire che i Consigli regionali eleggono i senatori tra i propri componenti e che, nel farlo, recepiscano le indicazioni degli elettori», sbotta un senatore della minoranza. L’elettività, secondo i ribelli, va scritta nero su bianco. Il bersaniano Miguel Gotor chiarisce lo sfogo dell’ex segretario Pd: «Una possibile mediazione implica la modifica dell’articolo 2 e non il suo aggiramento con proposte che si configurerebbero come un pasticcio costituzionale…». Insomma, un caos. Che, secondo il senatore della minoranza dem Federico Fornaro, va chiarito. Morale: la direzione del Pd di domani che doveva sancire un’intesa tra maggioranza e minoranza, rischia di trasformarsi in una resa dei conti.

L’uscita di Bersani, del resto, ha fatto infuriare praticamente tutti i renziani. L’accusa alla minoranza, dice Debora Seracchiani, «è che vogliano alzare l’asticella dell’accordo». In pratica, dicono dal Nazareno, non appena hanno la sensazione di incassare rilanciano. Una partita di poker che Matteo Renzi non ha nessuna intenzione di giocare. Da qui, una serie di minacce e avvertimenti da tutto lo stato maggiore del Pd. Maria Elena Boschi, ministro delle riforme,  dalla festa dell’Unità di Bologna, lancia l’avvertimento soft: «Il comma 5 non sia una scusa per ricominciare tutto da capo. No ai veti».
Da Lorenzo Guerini, invece, arriva l’avvertimento vero, quello che detta la linea: «Noi andiamo avanti e lo faremo, anche perché come si è visto, i voti li abbiamo. E in democrazia i voti contano più dei veti». Già i voti. La forbice sembra allargarsi sempre di più. Se anche una trentina di senatori della minoranza dem non votasse la riforma del Senato, sembra che siano già pronte le truppe di verdiniani, ex grillini e pure forzisti impauriti dalle urne anticipate. Ergo, i numeri, come ostentano i renziani, non sembrano essere un problema (la forbice balla tra 161 e 180, coi transfughi azzurri).

La domanda, quindi, è come procederà Renzi. Dal Nazareno, negli ultimi giorni, filtrava l’idea di rendere alla minoranza Pd una via d’uscita dignitosa, senza umiliazioni. Ieri, prima del ‘rilancio’ di Bersani, Renzi aveva promesso: «Il Pd è più vivo che mai, supererò il 40%. Ce la metto tutta per tenere unito il partito, non dilaniamoci». Oggi chissà.
Il presidente Matteo Orfini, finge di ricucire in extremis: «No a impuntature, l’accordo è vicino». Ma la buona volontà, quasi sempre, non basta. Tant’è che il falco Roberto Giachetti va oltre e non si smentisce: «Caro Renzi a questo punto perché non ci porti al voto?».

Articolo pubblicato il 20 settembre su QN

Rosalba Carbutti

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