L’ITALIA fino a qualche anno fa giocava un ruolo autorevole fra Tripoli e Bengasi, ma dopo la caduta del Rais abbiamo perso terreno e affari. Oggi siamo il Paese più esposto, ma quello meno deciso mentre la situazione libica è sull’orlo dell’abisso con conseguenze imprevedibilmente pericolose. E per noi ancora di più poiché subiamo l’ondata di «bombe umane» dell’immigrazione. I clandestini vengono spinti in mare dai militanti del califfato che incassano milioni dal traffico di uomini e li reinvestono in armi. Prima di una operazione con soldati sul terreno, l’Italia deve decidere: servono idee e strategia militare.

Quella che si prepara non è una operazione di pace. Il ministro Gentiloni parla di guerra e il premier Renzi frena aspettando l’Onu.
Alcune scelte per un «conflitto a bassa intensità» l’Italia le può concepire così da essere capofila di una missione Onu e a difesa di una situazione per noi critica. Allora si consenta ai 4 Tornado che volano sull’Iraq di agire contro il Califfato come gli altri membri della coalizione. In mare serve un blocco navale.

Non si può tollerare che la nostra Guardia costiera si faccia minacciare davanti a Tripoli. Come rileva Analisi difesa, la Sicilia può ospitare un dispositivo aereo e navale con la portaerei San Giorgio capofila. Infine azioni mirate sono possibili con forze aeromobili e anfibie, prima di una insidiosa operazione di terra per la quale, comunque, Folgore e San Marco sono già in allerta.

Beppe Boni