Di Lorenzo Bianchi

“Tenderemo la mano dell’amicizia a tutti”. È all’insegna dell’apertura e della conciliazione la promessa di Masoud Pezeshkian, il politico riformista diventato il nuovo presidente dell’Iran. Al ballottaggio ha conquistato quasi il 54% dei consensi e ha battuto l’ultraconservatore Saeed Jalili. Ma tutti i numeri vanno presi con il beneficio di inventario, perché il voto non è stato sorvegliato da nessun osservatore internazionale. “Il cammino che ci attende è difficile e non può essere percorso senza la vostra fiducia, cooperazione ed empatia”, ha detto dopo aver trionfato, uno stacco netto rispetto alla chiusura e alla rigidità che avevano contraddistinto Ebrahim Raisi, il presidente eletto nel 2021 e morto il 19 maggio quando è precipitato il suo elicottero. La mano di Pezeshkian si presenta tesa verso tutte le diverse anime della società iraniana. Alla tornata elettorale ha partecipato solo il 49% degli aventi diritto e la campagna elettorale è stata segnata da moltissimi appelli per boicottare il voto da parte di prigionieri politici, dissidenti o famiglie di persone morte sotto il regime degli ayatollah.
Pezeshkian è un cardiochirurgo di 69 anni che ha guidato il dicastero della Sanità durante l’amministrazione del riformista Mohammad Khatami dal 2001 al 2005. In campagna elettorale ha mandato cauti segnali su una possibile rimozione delle restrizioni a internet o sul fatto che non vede di buon occhio la repressione delle proteste, come è accaduto dal 2022 con le manifestazioni innescate dalla morte di Mahsa Amini, la giovane curda che morì nel settembre del 2022 dopo essere stata arrestata messa in custodia dalla polizia morale, perché non aveva coperto tutta la sua capigliatura con il velo obbligatorio in pubblico nella Repubblica islamica.
L’apertura promessa da Pezeshkian sembra essere rivolta anche all’esterno del Paese, dopo che negli ultimi anni Raisi aveva rafforzato le relazioni con Paesi storicamente vicini all’Iran, come Russia e Cina, alzando invece un muro nei confronti dell’Occidente, verso il quale il nuovo presidente potrebbe avere un atteggiamento diverso. L’obiettivo è allentare il cappio delle sanzioni per i programmi atomici della teocrazia, provvedimenti che affossano l’economia iraniana. Durante la campagna elettorale, il politico riformista aveva affermato che non è possibile raggiungere una crescita economica per l’Iran senza “aprire i confini con altri governi”. Lo ha sostenuto apertamente Javad Zarif, l’ex ministro degli Esteri che contribuì alla firma dell’accordo sul nucleare del 2015. Subito dopo la vittoria il nuovo presidente però ha giurato fedeltà alla Guida Suprema Ali Khamenei, l’ayatollah che sogna di cancellare lo stato di Israele dalla faccia della terra. Il neo eletto Pezeshkian ha riconosciuto infatti che “se non fosse stato per lui, non penso che il mio nome sarebbe uscito facilmente da queste urne”.
Khamenei ha espresso soddisfazione per l’aumento dell’affluenza rispetto al primo turno, che aveva segnato il record negativo dalla fondazione della Repubblica islamica con meno del 40%. “Questa grande e brillante mossa è indimenticabile, poiché ha sventato i complotti dei nemici, che miravano a iniettare delusione nel popolo iraniano”, ha gioito. Pezeshkian ha ricevuto subito le congratulazioni da parte della Russia di Vladimir Putin e della Cina di Xi Jinping e da alcuni Paesi dell’area del Golfo: Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Complimenti sono arrivati anche dal leader siriano Bashar Al Assad e da India, Pakistan, Serbia, Armenia e Giappone. Si sono congratulati con Pezeshkian anche Ilham Aliyev, il presidente dell’Azerbaigian, e Recep Tayyip Erdogan, il capo di Stato della Turchia che ha definito l’Iran una “nazione amica e fraterna”. In Italia si è congratulato “con il popolo e con il governo iraniano» il vice ministro degli Esteri Edmondo Cirielli,  di Fratelli d’Italia, “nella speranza che si possa lavorare per il perseguimento della pace e della stabilità soprattutto nel Golfo di Aden ed in generale in Medio Oriente”. 

Massoud Pezeshkian nel primo turno di voto aveva ottenuto il 42,5% dei suffragi, battendo l’ex negoziatore sul nucleare Said Jalili, 58 anni, votato dal 38,6% degli elettori. Il secondo turno ò scattato perché nessuno degli aspiranti presidenti del Parlamento  aveva ottenuto la maggioranza assoluta. In 14 elezioni presidenziali dal 1979 è la seconda volta . Saeed Jalili, aveva ricevuto il sostegno del presidente conservatore del Parlamento, Mohamad Baquer Ghalibaf, arrivato terzo con il 13,8% dei voti. Jalili, è ostile al riavvicinamento ai Paesi occidentali. È uno dei due rappresentanti della guida suprema al Consiglio supremo di sicurezza nazionale. Veterano della guerra Iran-Iraq durante la quale gli fu amputato un piede, ha condotto i negoziati sul nucleare iraniano dal 2007 al 2013, mostrandosi inflessibile nei confronti dell’Occidente.

L’ascesa di Pezeshkian nel panorama politico ha seguito la parabola del movimento riformista di Mohammad Khatami che ha governato il Paese dal 1997 al 2005. L’arrivo al potere di Mahmoud Ahmadinejad lo ha relegato ai margini dell’arena politica, spingendolo di nuovo verso il mestiere di medico. Una pausa durante la quale si è affermato professionalmente, per poi tornare in politica fino all’ingresso in parlamento. Si è presentato alle presidenziali del 2013, ma si è ritirato prima del voto. Nel 2021 la sua candidatura è stata bocciata dal Consiglio dei Guardiani.

In ogni caso il candidato dell’ultima ora ha calato le sue carte. Si è detto favorevole ai colloqui per revocare le sanzioni imposte dagli Stati Uniti per i programmi nucleari degli ayatollah, definendole un “disastro” per l’economia, e ha sostenuto che non esistono testi islamici che consentano alle autorità di aggredire o arrestare le donne che non indossano l’hijab come accadde nel settembre del 2022 a Mahsa Jina Amini. “Sono venuto per risolvere i vostri problemi, per essere la voce di coloro che non vengono ascoltati – ha affermato l’alfiere dei riformisti durante un comizio elettorale – Il problema della generazione Z siamo noi. I giovani vogliono il cambiamento, ma noi non siamo cambiati, chiedono l’innovazione, ma noi non siamo interessati”.

Nei mesi scorsi un tribunale iraniano ha comminato alla premio Nobel per la pace Narges Mohammadi un altro anno di prigione per “propaganda contro lo Stato”. Lo ha riferito il suo avvocato Mostafa Nili. L’attivista, 52 anni, è in carcere dal novembre 2021. Sta scontando diverse condanne per essersi opposta all’hijab obbligatorio e alla pena capitale nella Repubblica islamica. Tra i motivi della nuova condanna, ha spiegato il suo legale, ci sono appelli a boicottare le elezioni del 28 giugno, lettere a parlamentari svedesi e norvegesi e commenti sul caso di Dina Ghalibaf, la giornalista e studentessa che ha accusato sui social media le forze di sicurezza di averla ammanettata e aggredita sessualmente durante un arresto in una stazione della metropolitana. All’inizio di giugno Mohammadi si è rifiutata di partecipare al processo che la vede imputata a Teheran e in marzo ha condiviso dal carcere un messaggio audio nel quale ha denunciato una “guerra su vasta scala contro le donne” del suo Paese.

“La promessa divina di eliminare l’entità sionista sarà mantenuta e vedremo il giorno in cui la Palestina si innalzerà dal fiume al mare”. Insomma cancellare Israele. La Guida Suprema dell’Iran Ali Khamenei ha diffuso questo messaggio durante la parte pubblica dell’incontro con il capo politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran durante le cerimonie funebri per la scomparsa del presidente Ebrahim Raisi morto per la caduta del suo elicottero in una foresta vicina al confine con l’Azerbaigian. Il numero uno del Parlamento è stato sepolto il 23 maggio a Mashhad, la sua città natale, accanto al mausoleo dell’ottavo Imam sciita Reza. Secondo l’agenzia di stampa dello Stato “Irna”, tre milioni di persone hanno partecipato alla cerimonia funebre. Il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian, deceduto nello stesso incidente, è stato sepolto a Teheran.

A margine dei funerali del presidente iraniano (nella foto) si sono incontrati nella capitale iraniana i leader del cosiddetto “Asse della Resistenza”, l’alleanza informale che condivide con il regime degli ayatollah l’ostilità contro Israele. Del gruppo fanno parte Hamas, gli Hezbollah libanesi, i ribelli Houthi yemeniti e i gruppi sciiti iracheni. Per l’Iran hanno partecipato all’incontro il generale Hossein Salami, comandante delle Guardie rivoluzionarie, i “Pasdaran”, e il generale Esmail Qaani, comandante delle Forze speciali al Quds (ndr. Gerusalemme), il ramo delle Guardie della Rivoluzione impiegato nelle operazioni all’estero. Al vertice erano presenti il portavoce degli Houthi Mohammed Abdul Salam e il ‘numero due’ di Hezbollah Naim Qassem, rappresentanti della Jihad islamica e dei gruppi sciiti iracheni.

“Questa è la vittoria del popolo di Gaza, che ancora è un piccolo gruppo, contro i più grandi e potenti Stati Uniti, la Nato, la Gran Bretagna e alcuni altri Paesi”, ha dichiarato Khamenei, dichiarandosi incredulo e piacevolmente stupito delle proteste per la Palestina da parte degli studenti universitari negli Usa e in altri Paesi occidentali. “Siamo sicuri che l’Iran continuerà a sostenere la nazione palestinese con le sue politiche, le sue strategie e i suoi valori fino a quando la bandiera della vittoria non sarà innalzata sulla moschea di Al-Aqsa (ndr. a Gerusalemme)”, ha detto Haniyeh a Khamenei. Il leader di Hamas ha anche ricordato che Raisi ha “elogiato l’attacco di Hamas del 7 ottobre, definendolo ‘una battaglia che ha preso di mira il cuore del regime sionista”. Alle cerimonie hanno assistito delegazioni della Turchia, dell’Afghanistan dei talebani, della Giordania, della Serbia, del Nicaragua, dell’Armenia, dell’Arabia Saudita, della Siria, del Libano, dello Yemen, della Russia,della Bielorussia, di Singapore, della Cina e del Giappone. I complottisti hanno fatto circolare la notizia che Behrouz Ghadimi, il tecnico di volo dell’elicottero morto nello schianto, era cugino di Manouchehr Bakhtiari, un dissidente, incarcerato per aver protestato contro l’uccisione di suo figlio, Pouya, durante manifestazioni anti governative.

Nebbia, maltempo, un terreno di montagna con picchi alti quanto il Monte Bianco. Questo il teatro dell’incidente nel quale hanno perso la vita anche il ministro degli esteri Hossein Amir Abdollahian e il governatore della provincia. Stavano tornando da un viaggio al confine con l’Azerbaigian per l’inaugurazione di una grande diga. Alla cerimonia aveva partecipato anche il presidente azero Ilham Aliyev. L’elicottero avrebbe tentato un atterraggio di emergenza nella foresta di Dizmar che si trova fra le città di Varzaqan e di Jolfa. Ahmad Vahidi, il ministro dell’interno del regime teocratico iraniano, ha dichiarato che il velivolo è stato “costretto alla difficile manovra dal cattivo tempo e dalla nebbia”. Il presidente della mezzaluna rossa Pir Hossein Koulivand ha comunicato di aver mobilitato 40 squadre di ricerca a terra, perché le condizioni meteorologiche non permettevano il dispiegamento di mezzi aerei, in particolare di droni.

L’elicottero sul quale viaggiavano Raisi e Abdollahian era un Bell 212 americano. Nel 1978 lo scià ne acquistò dieci dalla italiana Augusta. Il Bell 212 era una versione aggiornata dei robusti Huaey protagonisti delle missioni contro i Vietcong. La squadriglia presidenziale di solito usa un Bell 212 e due Mil 17 russi. Nelle trasferte solo all’ultimo momento viene scelto quello sul quale viaggerà Raisi o l’alta autorità che affronta il volo. Secondo le notizie disponibili per la trasferta al confine con l’Azerbaijan la squadra era composta da un Bell 212 con allestimento Vip e da due Mil 17 muniti di contromisure antimissile. La vicina capitale della Provincia Tabriz è stata per mesi teatro di proteste contro il regime. L’ambiente montagnoso mette a dura prova il volo degli elicotteri per la loro scarsa strumentazione elettronica. Il mezzo precipitato sembra molto più recente di quelli del lotto comprato a suo tempo dallo Scià. Nonostante l’embargo al quale è sottoposta, Teheran è riuscita ad acquistare in Europa, in Africa e in Cina diversi esemplari del velivolo e pezzi di ricambio (spesso poi riprodotti in Iran). Secondo fonti di intelligence occidentale il Bell 212 sul quale era Raisi avrebbe avuto problemi prima del decollo appena tre giorni prima di precipitare.

L’ipotesi del sabotaggio non sembra probabile. Gli elicotteri presidenziali sono sorvegliati 24 ore su 24. Della manutenzione si occupano squadre sottoposte a una sorveglianza severa. L’unico punto debole potrebbe essere stato l’uso di piazzole improvvisate nel trasferimento da Teheran al confine azero. L’attentato più clamoroso degli ultimi anni è stato, nel settembre del 2020, l’eliminazione di Moshen Fakrizadeh, il padre del progetto atomico iraniano. Lo fulminò una mitragliatrice probabilmente guidata da remoto.

Il Mossad, il controspionaggio israeliano per l’estero, la Cia e qualche intelligence europea hanno talpe che hanno utilizzato infiltrati iraniani per infettare le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio destinato a produrre armi atomiche. L’Aiea, l’Agenzia delle Nazioni Unite contro la proliferazione delle armi nucleari, ha documentato nei mesi scorsi che Teheran è arrivata a percentuali di gran lunga superiori al 5 % necessario per le centrali atomiche che producono energia elettrica per uso civile.

Ali Khamenei, 85 anni, la Guida Suprema, ha assicurato fin da subito che il tragico evento non avrebbe scalfito l’equilibrio negli affari pubblici del Paese, promettendo continuità. La cerimonia funebre si è tenuta anche per le altre vittime del disastro aereo: il ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian, le guardie del corpo del presidente, il generale Mehdi Mousavi, un membro della base Ansar al-Mahdi delle Guardie rivoluzionarie, il pilota, il copilota e il tecnico di volo. Gli abitanti di Tabriz hanno partecipato in massa al funerale, per celebrare il “martirio” del presidente ultraconservatore. Le salme sono state poi trasportate a Qom, la città santa dell’Iran sciita, nella quale lo stesso Raisi aveva studiato quando era adolescente. Anche qui migliaia di persone, tra le quali religiosi e studenti dei seminari, gli hanno reso omaggio.

Membri del governo, autorità religiose e alti gradi dei Pasdaran e dell’Esercito hanno accolto l’arrivo dell’aereo che trasportava le salme all’aeroporto ‘Mehrabad’ della capitale. Garrivano bandiere nere e quelle della Repubblica islamica. Le bare sono state portate a spalla da militari. Una folla oceanica ha reso omaggio al presidente scomparso lungo il tragitto per la Grande Moschea Mosalla, nella quale sono continuati i funerali.

La mattina del 22 maggio Ali Khamenei ha guidato la preghiera funebre nell’Università di Teheran. Il 21 maggio ha celebrato Raisi prendendo la parola nella  sessione inaugurale della sesta Assemblea degli Esperti, l’organo incaricato di nominare la Guida Suprema o di revocarne i poteri. I membri sono stati scelti con le elezioni dell’1 marzo, che hanno registrato la più bassa affluenza alle urne dalla fondazione della Repubblica islamica. Molti nuovi eletti hanno ottenuto un seggio nelle loro circoscrizioni con appena il 5-8 per cento dei voti . Anche Raisi e il leader religioso di Tabriz Mohammadali Al-Hashem Mohammadali Al-Hashem, morto nell’incidente in elicottero, facevano parte dell’Assemblea, ma, secondo alcuni rapporti, già sei mesi fa il nome del presidente sarebbe stato tolto dalla lista dei possibili candidati alla carica di prossima Guida Suprema, per il suo calo di popolarità dovuto alle difficoltà economiche nelle quali versa il Paese anche per effetto delle sanzioni degli Stati Uniti. “Invito le coscienze risvegliate del mondo a prestare attenzione alle amare realtà dei sistemi antireligiosi e al fallimento di questi nel promuovere la giustizia, la libertà e la dignità delle donne e a considerare invece il piano completo e stabile di ricorrere alla governance islamica”, ha detto Khamenei nel suo discorso all’Assemblea degli Esperti.

 il 4 maggio una nave da guerra dei Pasdaran aveva superato per la prima volta la linea dell’Equatore, entrando nell’emisfero meridionale. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa iraniana “Tasnim”, che non ha indicato il tratto di mare in cui si trova esattamente, l’incrociatore Shahid Mahdavi è armato con missili balistici e da crociera a lungo raggio e droni ed è entrato a far parte della flotta dei Guardiani della rivoluzione nel marzo del 2023. Negli ultimi mesi era stato dispiegato solo nel Golfo di Aden. La nave è progettata per operazioni transoceaniche a lungo raggio, ha una stazza di oltre 2.100 tonnellate, è lunga 240 metri e larga 27.

Il primo marzo nelle prime elezioni indette dopo la morte di Mahsa JinaAmini, la giovane curda arrestata perché una ciocca dei suoi capelli non era coperta dal velo, si era registrata l’affluenza più bassa dai tempi della rivoluzione islamica del 197 9. A Teheran si è espresso meno del 24% degli 8 milioni di iscritti alle liste elettorali. A livello nazionale solo il 41 per cento degli aventi diritto al voto si è presentato ai seggi per rinnovare il Parlamento, 290 deputati, e per scegliere i membri dell’Assemblea degli Esperti, gli ottantotto esponenti del regime che dovranno eleggere la prossima Guida Suprema. Secondo gli attivisti che si battono per i diritti umani l’affluenza reale a livello nazionale sarebbe stata “intorno al 30 per cento”.

Nel giorno del voto il regime ha condannato a tre anni e otto mesi di carcere il cantante pop Shervin Hajizadeh, autore di “Baraye”, un brano che è diventato una sorta di inno durante le rivolte anti governative del 2022 e del 2023. All’artista, 26 anni, premiato in passato con un Grammy speciale per la migliore canzone sul cambiamento sociale, è stato vietato di lasciare il Paese. La Repubblica islamica si è anche fatta beffe di lui intimandogli di fare pubblicità sui social media per la teocrazia e di incidere un brano “sui crimini degli Stati Uniti contro l’umanità”.

All’alba del 23 gennaio in Iran era stato impiccato Mohammad Ghobadlou, un disabile mentale di 23 anni che aveva partecipato alle prime manifestazioni del movimento “Donna, vita, libertà”. Al termine di un primo processo nel mese di luglio del 2023 era stato condannato a morte. Il verdetto era stato impugnato. Secondo carte ufficiali pubblicate su “X” dall’avvocato di Ghobadlou poco prima dell’esecuzione, il capo della magistratura iraniana Gholamhossein Mohseni Eje’i, su segnalazione del responsabile della procura di Teheran Ali Alghasi, ha bloccato il processo d’appello e rinviato il caso ai giudici della sezione 39 della Corte suprema, la stessa che in precedenza aveva ratificato la condanna a morte. Dopo l’impiccagione di Ghobadlou e le successive proteste nazionali e internazionali, la sezione 39 della Corte suprema ha reso noto un documento datato 4 gennaio 2024 che in un paragrafo annullava, senza fornire alcuna spiegazione, il verdetto emesso nel luglio 2023 dalla prima sezione.

il 4 gennaio 2024 due kamikaze si erano fatti esplodere a un chilometro e mezzo e a due chilometri e settecento metri dalla moschea Saheb al-Zaman di Kerman nella quale sono custodite le spoglie del generale dei Pasdaran iraniani Qassem Soleimani, numero uno delle forze speciali “Al Quds”. Le vittime sono state almeno 89, i feriti 284. Nel gennaio del 2020 l’alto ufficiale fu ucciso  nell’aeroporto di Baghdad da un raid ordinato dall’ex presidente americano Donald Trump. Lo Stato islamico ha fatto sapere attraverso i suoi canali Telegram che due suoi membri hanno “attivato la loro cintura esplosiva” nel bel mezzo di “un grande raduno di apostati”.

La figura di Soleimani è stata commemorata anche in Iraq da migliaia di persone che hanno sfilato nella città santa sciita di Najaf. All’aeroporto di Baghdad il primo ministro iracheno Muhammad Sudani ha ricevuto i familiari delle dieci vittime dell’attacco americano. Oltre a Soleimani, quattro erano ufficiali dei Pasdaran e leader di milizie irachene sostenute da Teheran. Anche il capofila degli Hezbollah libanesi Hassan Nasrallah a Beirut ha reso omaggio al comandante delle forze “Al Quds” affermando che “i successi di Hamas nella Striscia di Gaza sono dovuti al lavoro fatto per anni da Qassem Soleimani”.

La contestazione interna della teocrazia al potere non si è mai spenta. Alle esequie per la sedicenne Armita Garavand, nel cimitero Behesht Zahra di Teheran, domenica 29 ottobre del 2023 era stata fermata e picchiata duramente l’avvocata e attivista per i diritti umani Nasrin Sotoudeh, 60 anni, madre di Mehraveh e di Nima. Era in congedo temporaneo dal carcere di Evin, la fortezza nella quale sono rinchiusi sistematicamente i nemici del regime. Molti ora sono militanti e attivisti del movimento “Donne, vita e libertà”, la protesta scaturita dall’uccisione di Mahsa Jina Amini, 22 anni, colpita a morte perché una ciocca di capelli le spuntava dal velo islamico, l’hijab. L’ultimo verdetto aveva condannato Nasrin a 33 anni di carcere e a 148 frustate per spionaggio, propaganda contro la teocrazia, incitamento alla prostituzione e alla corruzione e insulti alla Guida del Paese, l’ayatollah Ali Khamenei.

Il primo ottobre Armita era entrata nella metropolitana della capitale a capo scoperto. Ventotto giorni dopo è spirata. Ai suoi funerali, secondo l’agenzia di stampa semiufficiale “Fars”, Nasrin Sotoudeh non indossava il velo e quindi avrebbe “disturbato la sicurezza mentale della società”. Durante il rito i presenti avevano gridato: “Questo fiore spezzato è un dono alla patria”. «D’ora in poi – aveva scritto in precedenza Sotoudeh – dovremmo proteggere le nostre giovani (dalla polizia) nelle metropolitane, fino a quando non arriverà il momento di un giusto processo ai responsabili e ai mandanti dell’omicidio di Stato”.

Iran Human Rights”, un’organizzazione non governativa guidata e fondata da Mahmoud Amiry Moghaddam, ha scritto che “fin dal primo ottobre 2023 le autorità hanno tentato di nascondere la verità trasferendo Armita dalla fermata Shohada della metropolitana all’ospedale Fajir dell’Aeronautica militare. Lì è stato accertato che era in coma. Il due ottobre 2023 le forze di sicurezza hanno arrestato per diverse ore Maryam Lotfi, una giornalista del quotidiano “Sharg” che era andata a cercare di raccogliere informazioni in ospedale. Iran Human Rights ha avuto notizie di minacce contro l’equipe medica che si occupava del caso e di interruzioni delle telecamere a circuito chiuso del luogo di cura. Con la risoluzione S 35/1 Il 24 novembre del 2022 la Commissione dell’Onu per i diritti umani ha istituito una “Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti” sulle violazioni dei diritti umani commesse dalla Repubblica Islamica dell’Iran dall’inizio delle manifestazioni del movimento “Donna, vita, libertà”.

La sedicenne Armita, di origini curde come Mahsa Jina Amini, aveva sfidato le leggi della Repubblica islamica che impongono alle donne di indossare in pubblico il velo, lo hijab, è stata dichiarata morta in ospedale dopo 28 giorni di coma. Il primo ottobre era entrata nella metropolitana di Teheran a capo scoperto.  Secondo i testimoni, gli agenti della polizia morale le si sono scagliati contro appena è salita su un convoglio. Nella colluttazione la giovane è stata spinta con violenza e ha sbattuto la testa contro un palo di sostegno. Per il regime invece Armita è svenuta per un calo di pressione ed è caduta. Gli attivisti hanno sostenuto che i filmati sono stati tagliati e hanno chiesto che venissero pubblicate le registrazioni integrali delle telecamere di sicurezza all’interno del treno. Armita, è la loro tesi, è stata un’altra vittima della repressione di Teheran contro le donne che si oppongono al velo.

Il 18 settembre 2023, appena due giorni dopo l’anniversario dell’uccisione di Mahsa Jina Amini, il presidente americano Joe Biden ha deciso di rimpinguare le casse degli ayatollah con sei miliardi dollari, il prezzo del rilascio di cinque cittadini statunitensi. A Teheran torneranno cinque iraniani. “Tutti colpevoli di reati minori” ha tenuto a precisare l’amministrazione di Washington. Si riuniranno ai loro congiunti Siamak Namazi, Morad Tahbaz, Emad Sharghi e altri due connazionali. Tutti avevano la doppia cittadinanza, ma Teheran non riconosce quella statunitense e li considerava cittadini iraniani a tutti gli effetti. Namazi è un imprenditore. Fu condannato nel 2015. Tahbaz, che è anche suddito di Sua Maestà Britannica, è stato accusato di aver “cospirato con gli Usa”. I due, che hanno chiesto e ottenuto l’anonimato, sono una ricercatrice e un altro uomo d’affari. Potranno tornare in Iran Reza Sarhangpour e Kambiz Attar Kashani, entrambi imputati di aver violato le sanzioni imposte alla teocrazia dagli Stati Uniti. Della cinquina che potrà tornare in Iran faranno parte anche Kaveh Lotfolah Afrasiabi, sospettato di essere un agente degli ayatollah, Mehrdad Moein Ansari e Amin Hasanzadeh. Gli ultimi due avrebbero collaborato con il ministero della difesa di Teheran. Namazi ha ringraziato Biden “per aver considerato la vita dei cittadini americani al di sopra della politica”. L’amministrazione del Presidente americano ha spiegato che i fondi, arrivati all’Iran dalla Corea del sud per l’acquisto di petrolio con l’intermediazione del Qatar, potranno essere “usati solo per scopi umanitari”. Mentre decideva lo scambio Biden ha firmato nuove sanzioni a carico dell’ex presidente della teocrazia Mahmud Ahmadinejad e del dicastero dell’Intelligence di Teheran per la sparizione, 17 anni fa, dell’ex agente dello Fbi Bob Levinson.

Tre giorni prima del 13 settembre 2023, anniversario dell’arresto di Mahsa Jina Amini, la teocrazia iraniana aveva chiarito le sue intenzioni sulla ricorrenza. In un ospedale di Karaj, venti chilometri a ovest di Teheran, era morto Hamed Bagheri. Invitava la gente a scendere in piazza. Gli agenti gli hanno sparato quattro proiettili. La versione ufficiale è che “deteneva armi da taglio”. La fonte della notizia è Fereshteh Rezaifar, un’attivista del collettivo “Donna, vita, libertà” di Roma.

La mattina del 16 settembre i Pasdaran della Rivoluzione hanno arrestato sulla soglia di casa a Saqqez Amjad Amini, il padre di Mahsa Jina. Secondo l’organizzazione non governativa “Iran Human Rights” Amjad Amini è stato rilasciato “dopo poche ore”.

Nella capitale la polizia ha sparato contro i dimostranti vicino all’Università di Teheran e nella centrale piazza Azadi. Le forze dell’ordine hanno chiuso gli accessi ai cimiteri nei quali sono sepolti i caduti dopo la morte di Mahsa Amini. Gli iscritti alle Università Beheshti, Elm-o-Sanat e Amir Kabir hanno affidato a comunicati i loro no alla teocrazia. Da diversi cavalcavia penzolano striscioni che ricordano la fine di Mahsa Jina e in molti quartieri sui muri delle case sono apparse scritte di protesta. Sette detenute nel carcere di massima di sicurezza di Evin hanno bruciato il loro velo e tenuto un sit in gridando “donna. Vita e libertà”. Le prigioniere hanno voluto rendere pubblici i loro nomi. Sono Narges Mohammadi, Sepideh Gholian, Azadeh Abedini, Golrokh Iraee, Shakila Monfared, Mahboubeh Rezai e Vida Rabbani. Gli agenti hanno imbrattato con la vernice nera il sepolcro di Nina Shakarami, 16 anni, morta durante le manifestazioni del 2022 a Teheran.

Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato nuove sanzioni che prendono di mira 29 persone e organizzazioni. Diciotto sono Pasdaran, e agenti delle forze dell’ordine. Uno dei destinatari é il capo dei penitenziari iraniani. Secondo l’agenzia di stampa “Nova”, sono stati sanzionati Alireza Abedinejad, amministratore delegato di “Douran Software Technologies”, e i media controllati dallo stato “Press Tv“, “Tasnim News Agency” e “Fars News”. Il decimo pacchetto di restrizioni dell’Unione Europea riguarderà invece il vice comandante in capo del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche nel “Quartier generale della sicurezza centrale dell’Imam Ali”, i comandanti della polizia delle province di Mazandaran e di Fars, il direttore della prigione di Kachui, le carceri di Sanandaj, Zahedan e Esfahan, l’agenzia di stampa dei Pasdaran “Tasnim News” e il Consiglio Supremo del Cyberspazio.

Fereshteh Rezaifar, una militante del movimento “Donna, vita, libertà” ha dichiarato che è stata imprigionata anche la madre di Kian Pirfalak, il bimbo di undici anni che fu ucciso nell’assalto al mercato di Izeh, capoluogo del Khūzestān. Il governo accusò l’Isis, ma per i militanti di “Donna, Vita e Libertà” furono gli agenti ad aprire il fuoco. Fereshteh Rezaifar non fa sconti neppure ai magistrati: “Nei processi spesso contestano reati mai commessi”. I parlamentari remano nella direzione indicata dagli ayatollah. “E’ di questi giorni – riferisce l’attivista – la legge che prevede fino a 10 anni di reclusione per le donne che non indossano il velo in pubblico. E ‘stato calcolato che se venisse applicata, la polizia morale – che è stata ripristinata, dopo una momentanea sospensione – dovrebbe arrestare circa 6mila persone al giorno”.

Nella capitale da diversi cavalcavia penzolano striscioni che ricordano la fine di Mahsa Jina. A Saqqez, il luogo di origine di Mahsa Jina Amini, gli alberghi negano le stanze a chi viene da fuori città. La tomba della giovane e il padre Amjad sono sottoposti a una vigilanza continua con le telecamere. Un altro padre per il quale sono scattate le manette è il genitore di Mohammad Mahdi Karami, impiccato in gennaio. La stessa sorte è toccata alla sorella e al marito di Shirin Alizadeh, uccisa l’anno scorso in ottobre.

Il 20 luglio del 2023 la polizia religiosa era tornata sulle strade iraniane per registrare e arrestare le donne che non indossano correttamente il velo obbligatorio per legge dal 1979. Il compito di annunciare la notizia è stato affidato a Saeed Montazer al-Mahdi, capo della polizia del Paese. La decisione sarebbe stata adottata “su richiesta della popolazione e delle istituzioni per garantire la sicurezza pubblica e le fondamenta della famiglia”. Il giornale “Iran International”, rilanciato dall’attivista Masih Alinejad che ha un seguito di quasi 9 milioni di followers, ha pubblicato il video di una ragazza a capo scoperto braccata da una donna che indossa una tunica lunga fino ai piedi. L’anziana cerca di trascinarla verso una camionetta bianca, del tutto simile a quella sulla quale fu caricata Mahsa Jina Amini il 13 settembre del 2022. Nonostante le telecamere a riconoscimento facciale, le multe e gli arresti, la protesta è continuata anche con stratagemmi molto creativi. L’ultimo sono gli ululati notturni dalle terrazze o dalle case. Gli iraniani si sdraiano sul pavimento dei balconi o sotto le finestre delle loro abitazioni di notte e ululano. I paramilitari basiji hanno in dotazione termocamere che sono in grado di localizzare gli individui anche attraverso i muri. Sdraiarsi per terra è un tentativo un po’ artigianale di non essere facilmente localizzati.

l 29 maggio del 2023 era cominciato a Teheran il processo a porte chiuse alla giornalista iraniana Elaheh Mohammadi, 36 anni, arrestata dopo che aveva seguito a Saqqez il funerale di Mahsa Amini. Elaheh Mohammadi lavora per il quotidiano riformista “Ham Mihan” ed è comparsa davanti alla sezione numero 15 del “Tribunale rivoluzionario” della capitale. La reporter è accusata di “collaborazione con il governo ostile degli Stati Uniti, collusione contro la sicurezza nazionale e propaganda contro il sistema”, accuse che potrebbero comportare la pena di morte in caso di condanna.

Il giorno dopo è stata processata anche la fotoreporter Niloufar Hamedi, dipendente del giornale “Shargh”, un altro organo di stampa critico nei confronti degli ayatollah, finita in cella per un reportage dall’ospedale nel quale era stata ricoverata Mahsa Amini dopo essere stata fermata. La giovane era in coma e intubata. Qualche giorno dopo la reporter pubblicò anche una foto dei genitori di Mahsa che si abbracciavano in un corridoio della struttura sanitaria dopo aver saputo che la figlia era morta. L’accusa della quale deve rispondere è “propaganda contro il sistema” e “collusione contro la sicurezza nazionale”. Secondo i familiari, le due giornaliste hanno potuto incontrare i loro avvocati solo domenica 28 maggio.

Iran Human Rights ha pubblicato la notizia che l’8 maggio del 2023 sono stati impiccati due uomini condannati per blasfemia. Il 6 maggio è stato giustiziato il dissidente Farajollah Habib Chaab, un cittadino svedese di origini iraniane accusato di un attentato dinamitardo che nel 2018 costò la vita a 25 persone fra soldati e civili durante una parata militare ad Ahwaz, nella provincia del Khūzestān. Stoccolma ha convocato l’ambasciatore della teocrazia e ha condannato la “punizione inumana e irreversibile”. Chaab, 50 anni, noto anche come Habib Asyud, dopo aver vissuto per dieci anni in Svezia fu rapito da agenti iraniani in Turchia nel 2020 e portato in Iran. Un mese dopo la Tv di stato “Irib” mandò in onda un video nel quale Chaab ammetteva di essere responsabile di azioni terroristiche e di aver collaborato con gli 007 sauditi. Il 21 marzo la Corte suprema del regime degli ayatollah ha confermato la condanna a morte. In gennaio è stato condotto al patibolo il britannico-iraniano Alireza Akbari, 61 anni, condannato per spionaggio per conto del Regno Unito. Una circostanza che Londra ha sempre negato. In un messaggio audio a “Bbc Persian” Akbari aveva affermato di essere stato torturato e costretto a confessare davanti alla telecamera crimini che non aveva commesso.

Nasrin Ghadri, 35 anni, studentessa dottoranda in filosofia a Teheran, era morta sabato 5 novembre come Mahsa Amini. Durante le manifestazioni del 4 novembre agenti delle forze di sicurezza l’hanno colpita alla testa con un manganello. Lunedì 7 novembre sono scesi in piazza gli abitanti di Marivan, la sua città di origine nel Kurdistan iraniano. I dimostranti hanno gridato “Morte a Khamenei (la guida suprema del Paese)”, hanno bloccato diverse strade e hanno accusato il governo di aver organizzato, alle prime luci del giorno, una frettolosa sepoltura della giovane. Gli agenti hanno reagito, come al solito, sparando sulla folla e ferendo 35 dimostranti. Il padre, come accadde per Mahsa Amini, sarebbe stato costretto a dichiarare pubblicamente che la figlia è deceduta per “intossicazione” o per “una malattia”. Secondo l’organizzazione non governativa “Iran Human Rights” venerdì 4 novembre gli studenti maschi dell’Università di Babol, nel nord del Paese e vicina al Mar Caspio, nella loro mensa hanno rimosso la barriera di separazione dalle colleghe. Nella stessa giornata nella città di Kash 16 dimostranti sono stati fulminati dalla polizia degli ayatollah.

Il regime teocratico continua a chiudersi a riccio. Duecentoventisette parlamentari su duecentonovanta hanno chiesto ai leader del regime e ai magistrati di applicare la pena di morte contro i “mohareb” (nemici di Dio). “Chiediamo al governo – hanno scritto – di affrontare con fermezza gli autori di questi crimini e tutti coloro che hanno incitato le rivolte, tra cui alcuni politici”. Le Guardie Rivoluzionarie iraniane hanno fermato tre squadre affiliate al gruppo dissidente Mojahedin-e-Khalq Organization (Mko), una compagine che la teocrazia accusa di terrorismo. Un comunicato citato dall’agenzia di stampa semiufficiale “Fars” attribuisce agli arrestati l’intento di condurre azioni di sabotaggio e attentati nelle province del Khūzestān, di Fars e di Isfahan. I Mojahedin progettavano di coinvolgere “rivoltosi” per attaccare lo stato e i centri di sicurezza e di polizia, per distruggere proprietà pubbliche e commettere assassinii. Le autorita’ iraniane hanno arrestato 26 “terroristi takfiri” (miscredenti) sunniti sospettati di essere coinvolti nell’attentato del 26 ottobre al mausoleo di Shah Cheragh a Shiraz, costato la vita ad almeno 13 persone. L’attacco al mausoleo, il sito sciita piu’ sacro nel sud dell’Iran, e’ stato rivendicato dall’Isis, il sedicente Califfato Islamico. L’autore, morto per le ferite riportate durante l’arresto, è stato identificato come Abu Aisha, di nazionalita’ tagika. Il coordinatore della cellula sarebbe un azero. L’afgano Mohammed Ramez Rashidi è sospettato di aver garantito “supporto operativo”.

Sui social è diventata virale l’immagine della donna dai lunghi capelli sciolti che alza le braccia al cielo stando in piedi sul tetto sul tetto di una vettura, un’auto dell’immensa fila diretta al cimitero di Sakkez nel quale è stata sepolta Mahsa Amini, diecimila persone ha dovuto riconoscere perfino l’agenzia di stampa ufficiale “Irna”.  Il 30 ottobre si è intensificata la repressione da parte delle forze di sicurezza, in divisa e in borghese, dopo l’avvertimento rivolto ai manifestanti dal comandante delle Guardie Rivoluzionarie Hossein Salami che li aveva diffidati dal tornare in strada. Gli studenti della capitale Teheran, di Shiraz, di Babol, di Eslamshahr, di Sari, di Arak, di Qazvin, di Mashhad, di Parand, di Hamedan, di Khorramabad, di Ahvaz, di Zanjan e di Sanandaj hanno promosso nuove iniziative di protesta, durante le quali sono stati scanditi slogan contro la corruzione e la repressione. In alcuni video postati sui social media, si vedono le forze di sicurezza e in borghese sparare agli studenti con armi da fuoco, fucili a pallini e gas lacrimogeni, alla Shomal University di Teheran. A molti studenti è stato vietato l’ingresso negli atenei e nelle strutture annesse. Il 30 ottobre alcuni universitari sono stati aggrediti nei loro dormitori durante la notte con gas lacrimogeni e spari. Elnaz Rekabi, 33 anni, la campionessa di arrampicata libera che aveva partecipato ai campionati asiatici di Seul senza indossare il velo, ha dichiarato in pubblico che le era scivolato. Secondo la “Bbc” in lingua farsi è stata poi confinata agli arresti domiciliari. Il provvedimento sarebbe una forma di pressione sulla giovane perché rilasci una confessione forzata sulla sua presunta colpa. A questa opera di “convincimento” si sarebbe aggiunta la minaccia di porre sotto sequestro beni della sua famiglia per oltre 250 mila euro.

Mahsa Amini, era stata arrestata nella metropolitana della capitale all’uscita “Shahid Haghani” . “La portiamo – hanno detto gli agenti al fratello Kiarash – a fare una lezione di moralità”. E’ morta dopo tre giorni di coma. Il 20 settembre dell’anno scorso avrebbe  compiuto 22 anni. Le manifestazioni di protesta erano dilagate in tutto il Paese degli ayatollah, nelle strade, nei bazar, nelle università e nelle stazioni della metropolitana. Quarantuno persone sarebbero state fulminate dalle forze dell’ordine nella sola provincia del Sistan Baluchistan. Protestavano per lo stupro di una giovane di 15 anni abusata dal capo della polizia della città portuale di Chabahar. Nella capitale iraniana è stata fermata anche Donya Rad “colpevole” di non aver indossato il velo mentre sorseggiava un caffè con un’amica, anch’essa a capo scoperto. Il caso è scoppiato dopo la diffusione on-line di una foto del pranzo. Le forze di sicurezza sono intervenute, contattando Donya per chiederle spiegazioni. “Dopo alcune ore senza notizie – ha denunciato la sorella – Donya mi ha detto in una breve telefonata di essere stata trasferita nella prigione di Evin”. Il ministero degli esteri iraniano ha comunicato l’arresto di 9 stranieri provenienti da diversi paesi europei, inclusa l’Italia, con l’accusa di essere coinvolti o di essere stati nei luoghi delle proteste. L’organizzazione curda per i diritti umani Hengaw ha riferito che le forze di sicurezza hanno sparato nella notte fra giovedì 22 e venerdì 23 settembre 2023, con armi semiautomatiche contro i manifestanti a Oshnaviyeh (nel nord-ovest). L’hashtag #MahsaAmini ha raggiunto oltre 3 milioni di citazioni su Twitter, oggi “X“.