HA DOMINATO I TREND d’acquisto negli ultimi due anni e, secondo l’ultimo rapporto di Vinarius (associazione delle enoteche italiane), condizionerà le scelte dei consumatori anche nel prossimo futuro: è la preferenza accordata ai ‘vini territoriali’, quelli in cui sia particolarmente rimarcato il legame fra prodotto e peculiarità del territorio. "In questo contesto, origine e tracciabilità della filiera rappresentano un valore aggiunto importante: per tutelarlo, il nostro sistema di certificazione garantisce un controllo capillare, dalla vigna alla bottiglia", commenta Giuseppe Liberatore, direttore generale di Valoritalia, l’ente che ha finora certificato oltre il 60% della produzione nazionale di vini di qualità, per un giro d’affari complessivo di 6,8 miliardi di euro.
Liberatore, cosa significa ‘certificare la tracciabilità’ di un vino?
"Grazie a un accurato lavoro, fatto di visite ispettive in campo e in cantina, analisi, commissioni di assaggio e altro ancora, riusciamo ad assicurare la completa tracciabilità di ogni partita di vino ‘a denominazione di origine’ immessa sul mercato, dal vigneto all’uscita dalla cantina. Verifichiamo che ciascuna di esse abbia le caratteristiche qualitative previste dal disciplinare di produzione".
Che cos’è la ‘denominazione di origine’?
"In estrema sintesi, è il nome geografico di una zona viticola spiccatamente vocata (ad esempio, Chianti o Franciacorta), usato per designare un vino di qualità, le cui caratteristiche sono connesse all’ambiente naturale, alle sue componenti geochimiche e biochimiche e, non ultimo, al fattore umano. È una certificazione che, dal vino, si sta estendendo progressivamente a vari prodotti agricoli e alimentari, tra cui l’olio, i salumi, i formaggi".
Qualche numero della vostra attività di certificazione?
"Certifichiamo 229 denominazioni di origine, da cui derivano 5mila tipi di prodotto: il 42% del totale nazionale. Ogni anno certifichiamo più di 20 milioni di ettolitri di prodotti Dop e Igp, ovvero il 60% della produzione nazionale. Gestiamo 13.000 commissioni di degustazione e sottoponiamo ad analisi chimica 55.000 campioni di vino; realizziamo 11.000 verifiche distribuite tra vigneto e cantina. Autorizziamo l’immissione sul mercato di 2 miliardi di bottiglie a denominazione di origine: di queste, più della metà sarà venduta col contrassegno di Stato per le bevande alcoliche. Un’ulteriore garanzia della tracciabilità di prodotto".
Oltre alle certificazioni legate all’indicazione geografica, giocano un ruolo cruciale, negli ultimi tempi, quelle relative alla sostenibilità. Di che si tratta?
"Nel 2015 abbiamo contribuito alla costituzione di Equalitas, una certificazione di sostenibilità che rappresenta tuttora l’esperienza europea più evoluta studiata per le imprese vitivinicole. All’epoca ci guardavano come dei marziani, ora il termine ‘sostenibilità’ è sulla bocca di tutti. E sarà la parola d’ordine dei prossimi decenni, nonché un impegno concreto per le aziende di qualsiasi settore produttivo".
Come si attribuisce?
"Equalitas valorizza l’adozione di buone prassi nella conduzione agronomica e nella gestione d’impresa, misurando le performance attraverso una serie di indicatori, tra cui quelli ambientali, che riguardano, ad esempio, l’impronta di carbonio, il rispetto della biodiversità e, più in generale, l’impatto sull’ecosistema. Al termine del percorso di certificazione, le imprese redigono il proprio bilancio di sostenibilità".