I dirigenti del Pd continuano ad addebitare ogni sconfitta al contesto sfavorevole (la grande recessione, l’ondata populista), a minimizzare la durezza dei risultati e a promettere che «da qui si riparte». Lo ripetono ormai senza crederci per non guardare in faccia i loro difetti strutturali che l’entrata in scena dei nuovi e più aggressivi competitori ha solo messo a nudo. Si tratta di difetti ereditati dalla sommatoria di partiti che diedero vita al Pd e che il Pd avrebbe dovuto superare. Le regole che proposi durante il convegno fondativo di Orvieto convocato da Prodi nel 2006 e che ho poi contribuito a trascrivere come presidente della Commissione Statuto nel 2007 dovevano servire a questo. Con le primarie aperte a tutti gli elettori si voleva rendere la leadership del nuovo partito forte e realmente contendibile, rompere il potere delle correnti e aprirlo all’influenza di una opinione pubblica esterna al circuito degli iscritti fidelizzati. Con il limite ai mandati (non più di tre per i parlamentari) si voleva favorire il ricambio, rompere lo schema della politica come mestiere a vita e del partito dominato dai «professionisti del settore». Durante la breve segreteria Veltroni e il primo mandato di Renzi è sembrato che il modello potesse funzionare. Ma il “partito aperto” non è mai nato. Al suo posto è rimasto un denso aggregato di ceto politico introverso, organizzato intorno a correnti personali che si creano e si sfaldano, si riallineano e si combattono, alla ricerca dell’equilibrio che consenta ai loro affiliati di continuare ad avere un ruolo. Lega e M5S hanno oggi un principio d’ordine semplice che permette ai loro leader di intuire come cambiano le domande dei cittadini e di adattare, anche con spregiudicatezza, stile di comunicazione e strategie. Invece, il Pd non ha una linea e non ha una voce. Quindi, per quanto ragionevoli e assennate, le posizioni che esprime suonano poco credibili, distanti dal senso comune. I suoi speaker che dichiarano «da qui ripartiamo» fanno tenerezza. Come se non sapessero che non sono parte della soluzione ma del problema.
Lunedì 4 Novembre 2024
ArchivioPd, dirigenti colpevoli