Il fenomeno delle birre artigianali italiane è ormai conclamato e la città di Napoli non si è tirata indietro di fronte alla sfida. Nasce così KBirr, il marchio voluto da Fabio Ditto per produrre birra non filtrata, non pastorizzata e orgogliosamente partenopea. Si tratta di una beer firm, cioè quel tipo di realtà commerciale che non possiede impianti propri, ma che affitta quelli di un altro birrificio allo scopo di realizzare proprie ricette e poi metterle sul mercato autonomamente.
KBIRR, LA BIRRA DI NAPOLI
Il nome nasce da un'esclamazione napoletana, “Ua, ch' birr!”, utilizzata per esprimere entusiasmo nei confronti di una birra particolarmente buona, di quelle che abbattono al volo ogni rigidità e incoraggiano la più schietta passionalità. L'idea di KBirr è di produrre qualcosa che sia altrettanto semplice, diretto e festoso, e che possa guadagnare sul campo un sonoro “Ua, ch' birr!”. La prima artigianale prodotta è stata una lager, cui sono seguite altre due bottiglie, più una terza in edizione limitata.
LE BIRRE DI KBIRR
Gli stili sono molto diversi e si passa appunto da una lager (la beverina Natavot), a una imperial stout robusta e decisa (la Paliat, con sentori di malto e caffè), per arrivare a una stotch ale dal sapore intenso, quasi aggressivo (la Jattura, con note di malto, caramello e affumicatura). L'edizione limitata di KBirr si chiama invece CuoreDiNapoli, tutto attaccato, un'american pale ale con sentori di luppoli, note agrumate e speziate.
I NOMI DELLE BIRRE
Curiosità: i nomi delle birre, così come le etichette, nascono in riferimento ad alcuni elementi della cultura partenopea: Natavot (cioè “un'altra volta”) richiama l'annuale miracolo di San Gennaro, Paliat è un termine dialettale che significa “solenne bastonata”, Jattura è la malasorte da fuggire con il tradizionale cornetto portafortuna. Infine, CuoreDiNapoli si riferisce a un'installazione luminosa realizzata dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.
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Venerdì 20 Dicembre 2024
ArchivioKBirr, la birra artigianale di Napoli