Venerdì 22 Novembre 2024
ENRICO CISNETTO
Archivio

Lo spettro Italexit

Claudio Borghi (Germogli)

Claudio Borghi (Germogli)

“Se potessi avere mille lire al mese”, recitava un’allegra canzone del 1939. Ora c’è in giro qualche irresponsabile che vorrebbe farne l’inno di Italexit, nella sciagurata eventualità che l’Italia esca dall’euro, per scelta o, più probabilmente, perché indesiderata dagli altri condomini dell’eurosistema. Ieri il leghista Claudio Borghi, che non è solo l’economista di riferimento di Salvini, ma riveste il ruolo istituzionale di presidente della commissione Bilancio, se n’è uscito, a mercati aperti, dicendo che «con una sua moneta l’Italia avrebbe risolto tutti i problemi». Conseguenza: lo spread ha scavalcato quota 300 punti e i titoli delle banche in Borsa hanno preso l’ennesima legnata, inducendo i banchieri a rarefare il credito a imprese e famiglie. Bingo. Di questo passo sarà l’euro a uscire dall’Italia, non viceversa.

Naturalmente, la narrazione pentaleghista attribuisce i rovesci che subiamo sui mercati a un complotto pluto-demo-ecc. che vedrebbe Francoforte, Bruxelles e le principali cancellerie europee unite contro il «governo del cambiamento» e la sua «manovra del popolo». La realtà, invece, è che le dichiarazioni prima ancora che gli atti del governo gialloverde minano la nostra credibilità e ci trasformano in una ghiotta occasione per chi di mestiere specula – facendo un lecitissimo arbitraggio tra le diverse aspettative economiche – e ci rendono strumento docile nelle mani di chi, per interessi politici e finanziari, vuole far saltare il banco della moneta unica.

È inutile che ci giriamo intorno: l’equazione +deficit=+crescita=–debito non regge. Tanto più se il maggiore sbilancio è dovuto a spesa corrente improduttiva o, peggio, a sussidi assistenziali. Sono anni che i governi di turno suonano questa musica – altro che ‘cambiamento’ rivoluzionario, siamo nella più perfetta delle continuità – e sono altrettanti anni che il Paese è in declino. E quando il declino si accompagna al mantenimento di quelle che economisti e sociologi chiamano «aspettative crescenti», il risultato inevitabile è che si produce una rottura.

Il 4 marzo c’è stata la rottura politica, che ha spazzato via chi aveva tradito le aspettative degli italiani, aprendo le porte al populismo sovranista. Il quale, però, avendo spinto ancor più sull’acceleratore delle aspettative, rischia di accentuare le contraddizioni e con esse il declino. E non è detto che un’altra rottura non sia dietro l’angolo. Ma non vorremmo che portasse il nome di Italexit. Twitter @ecisnetto