Milano, 24 febbraio 2018 - Si chiama Massimiliano Marta. Quest'anno è l'unico italiano che prenderà parte alla Iditarod Trail Invitational, uno dei trail running invernali più estenuanti e punitivi, che in questi giorni si corre sui sentieri innevati dell'Alaska. Per quattro, forse 5 giorni, dovrà vi vere in autonomia e lottare con i suoi limiti fisici e con gli elementi esterni di una natura selvaggia e ostile, per portare a termine un percorso di circa 210 chilometri nel cuore dell'Alaska, dove in questa stagione i venti gelidi soffiano fino a 200 all'ora e le temperature di notte possono toccare i -50 gradi.
Il via della gara è in programma domenica dalla città di Anchorage, capitale dello stato americano dell'Alaska. Questo sarà l'ultimo avamposto di civiltà che Max incontrerà lungo il suo cammino, perché di lì in poi dovrà cavarsela da solo, camminando e correndo sulla neve con una grossa slitta da trainare, sua unica e preziosa compagna di viaggio, perché nella slitta custodisce tutto il materiale indispensabile per sopravvivere senza riparo in quel clima. Massimiliano Marta, cittadino di Basiglio nella vita di tutti i giorni è un impiegato bancario milanese, sposato e padre di tre figli, che da anni ha coltivato la passione per lo scialpinismo e il trail running.
Quando hai cominciato a correre? “Ho iniziato nel 1999. Ero appena tornato dalle ferie e passando davanti allo specchio mi sono visto completamente fuori forma. Così ho preso le scarpette e sono sceso in strada a correre…i 20 minuti più faticosi della mia vita. Da lì non ho più smesso e così sono arrivate oltre 25 Maratone, 8 Ironman e un’infinità di Ultra Trail”. Tu sei un runner e alpinista. Ti senti più l'una o l'altra cosa? “Diciamo che mi piace correre gli Ultra Trail, al mio passo. In montagna – in realtà – faccio soprattutto scialpinismo. Gli sci sono per me come “coperta di Linus”: mi fanno sentire al sicuro e felice. Uno dei suoni più belli al mondo è quello degli attacchi che si chiudono quando sei in vetta ad una montagna e ti appresti a sciarla dopo una lunga salita con le pelli”.
La tua scelta “estrema” impone molti sacrifici. Come li concili con il lavoro? “Faccio i lunghi possibilmente in quota, tutti i weekend, spesso in Valle D'Aosta. E lavori di qualità, brevi e tecnici, in settimana”.
Come ti è venuta l'idea di correre in Alaska? “In realtà è arrivata 10 anni fa. Avevo chiesto ad un amico che cosa bisognava fare per guadagnarsi la qualifica alla mitica Iditarod. Dieci anni di focalizzazione non sono male...”. Il percorso di avvicinamento alla gara è stato lungo è difficile, anche perché Max ha dovuto imparare a trainare una pesante slitta e a scegliere i materiali migliori. Iditarod è una gara che si disputa in totale autonomia, per questo la selezione è molto severa e gli “aiuti” sono ridottissimi. Non hai paura di perderti in quella immensità di neve bianca? “Mi piace stare solo, non credo che entrerei in panico di fronte a questa possibilità. Anzi magari il cervello mi aiuta e trasforma le allucinazioni in bei sogni. Ma confido sul Gps e sulla mia capacità di orientamento. – ma poi confessa - Un paio di weekend fa ho avuto un incidente che mi ha materializzato un incubo. Nel bel mezzo di un posto lontano e silenzioso non ha funzionato il fornelletto da alpinismo, indispensabile per fare acqua in quel gelo”. Alla vigilia della partenza, il clima ad Anchorage è meno freddo del previsto. Il cielo è plumbeo e la neve è ovunque. “Ma si tratta di un inganno – avverte Max Marta -, perché appena si va nell'entroterra le condizioni cambiano radicalmente”.