Con l’approvazione della manovra al Senato, l'estensione della flat tax fino a 85mila euro di fatturato è ufficialmente in vigore. La misura, fortemente voluta dalla maggioranza, in particolare dalla Lega, è stata criticata dall’opposizione perché andrebbe a limitare la progressività del sistema fiscale italiano. Va detto che sono decenni che è in atto uno svuotamento dell’Irpef, con una quota sempre maggiore di redditi che beneficia di forme di tassazione più vantaggiose. L'Irpef, nata come imposta generale su tutti i redditi, si è ridotta a gravare soltanto sui redditi da lavoro, in particolare quello dipendente e assimilato (ovvero le pensioni): da sole queste due categorie di contribuenti rappresentano l’85% della base imponibile dell’imposta.
Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici, la sottrazione di un’ampia fetta di redditi dei lavoratori autonomi dalla tassazione progressiva “pone sia problemi di equità che di efficienza e comporta conseguenze sia sull’Irpef che sull’Iva, dato che i forfettari sono anche esclusi dal pagamento di questo tributo”.
Partiamo dai problemi di equità, riprendendo le simulazione fatte dall’Ocp. Le figure professionali prese come modello sono un elettricista e un consulente informatico. Per entrambi si ipotizza un fatturato da 75mila euro, che garantirebbe l’acceso al regime forfettario (flat tax al 15%). Il primo confronto è fatto su regime ordinario e forfettario, la cui differenza principale risiede nel fatto che mentre i contribuenti che rientrano nel primo possono dedurre analiticamente i costi, ai forfettari è riconosciuta una percentuale fissa che varia a seconda dei settori di attività. Per semplicità si ipotizza che i costi sostenuti nei due casi siano gli stessi. Siccome non ci sono differenze per quanto riguarda i contributi dovuti, il regime forfettario, con la sua aliquota agevolata al 15%, offre un chiaro vantaggio sul lato dell’imposta sui redditi. Un elettricista forfettario risparmierebbe più di 8mila euro l’anno di imposte rispetto a quello ordinario. Un operatore informatico, che secondo le tabelle ministeriali sopporta costi più alti, più di 5mila euro. I forfettari, inoltre, non sono sottoposti alle addizionali regionali e comunali sul reddito, che in alcune zone del Paese sono tutt’altro che insignificanti.
Cosa succederebbe invece al carico fiscale complessivo dell’elettricista e dell’operatore informatico se venissero assunti da un’impresa come lavoratori dipendenti? Come premessa va ricordato che il confronto deve essere effettuato tra il costo sostenuto dall’azienda con l’imponibile previdenziale del titolare della partita Iva (e cioè fatturato al netto dei costi di produzione effettivi o forfettari, ma al lordo dei contributi). Si ipotizza che il costo che un’impresa sostiene per assumere un elettricista o l’informatico è pari al reddito previdenziale quando questi svolgono la propria attività in proprio. I contributi previdenziali sono quasi gli stessi per le due tipologie di impiego. Per gli autonomi in regime ordinario iscritti alla gestione separata Inps, il 26,23% di aliquota contributiva sul reddito lordo produce contributi pensionistici solo leggermente maggiori rispetto al 33% di aliquota contributiva (cumulando assieme il 23,81% versato dalle imprese con il 9,19% dai lavoratori) pagato sul reddito al netto di tutti gli altri contributi posti a carico del lavoro dipendente (ad esempio maternità, malattia, disoccupazione). Poiché questi ulteriori contributi riducono la base imponibile ai fini Irpef, il lavoratore dipendente risulta anche soggetto ad una minore tassazione ai fini dell’imposta dei redditi, una differenza che è ampliata dal fatto che la detrazione per lavoro dipendente è maggiore della detrazione per lavoro autonomo.
Considerando tutti questi aspetti, risulta che un elettricista lavoratore autonomo soggetto al regime ordinario dell’Irpef, pagherebbe circa 1.700 euro in più di imposte sul reddito e circa 3.200 euro in meno di contributi, con un reddito al netto di imposte e contributi di circa 1.500 euro maggiore rispetto a un elettricista che fosse assunto come dipendente. Per il consulente informatico i risultati sono simili, con circa 1.700 euro in più di imposte e 1.900 euro in meno di contributi quando esercita l’attività come lavoratore autonomo, con un reddito netto maggiore di circa 170 euro.
Passando al confronto con il regime forfettario, i risultati sono gli stessi per quanto riguarda i contributi, mentre differiscono sotto il profilo delle imposte sui redditi. Un elettricista forfettario pagherebbe oltre 6.500 euro di imposte in meno rispetto ad un elettricista dipendente, con un reddito al netto di tutte le imposte e i contributi maggiore di quasi 10mila euro. Un informatico forfettario risparmierebbe invece oltre 3.600 euro di imposte rispetto al suo clone assunto nell’impresa, conseguendo un reddito netto maggiore di 5.500 euro.
“Anche se il lavoratore autonomo forfettario è maggiormente soggetto al rischio di impresa e non ha tutte le coperture assicurative del dipendente (ma neanche paga i relativi contributi)” sottolinea l’Osservatorio sui conti pubblici “sembra davvero un vantaggio eccessivo, sollevando problemi seri di equità di trattamento”.
Ma a chi conviene il regime forfettario? Semplice: ai più ricchi. La convenienza ad accedere a tale sistema di tassazione cresce al crescere del fatturato. L’aliquota media per il forfettario rimane infatti piatta al 15%, mentre per chi paga l’Irpef ordinaria aumenta di pari passo con il reddito. Nello specifico, fino a un fatturato di 16.300 euro il regime ordinario è più conveniente. Per quanto riguarda l’Iva, va ricordato che i forfettari non sono soggetti al regime dell’Iva, cioè né la sottraggono sugli acquisti né la impongono sulle vendite. Di conseguenza, i forfettari godono di un vantaggio competitivo rispetto a produttori analoghi sottoposti a regime tributario ordinario, che invece devono applicare l’Iva sulle vendite.