Roma, 12 dicembre 2016 - Ci sono voluti due anni per curare sessantamila persone affette da epatite C. Mesi di discussioni accese sulla sostenibilità di terapie dal costo iperbolico. I casi più gravi sono quasi debellati, resta l’esigenza di avviare alle cure quelli che finora sono stati esclusi. Ne parliamo con Gloria Taliani, docente di malattie infettive all’Università di Roma Tor Vergata.
Professoressa Taliani, i nuovi antivirali in un prossimo futuro saranno economicamente più abbordabili. Quando è cominciata la sfida?
«I trattamenti per l’epatite cronica da virus C sono iniziati con sofosbuvir alla fine del 2014. Poi sono venute altre terapie innovative, somministrate da tre a sei mesi. Al termine la guarigione è definitiva».
Che problemi provoca il virus?
«I disturbi sono vaghi, il più frequente è la stanchezza, che induce chi la avverte a fare dei test. A volte ci sono difficoltà digestive oppure un prurito inspiegabile».
Se trascurata, l’infezione provoca fibrosi al fegato, poi la cirrosi fino all’esito letale. In Italia sono state trattate finora persone con cirrosi allo stadio avanzato, con quali esiti?
«Risultati straordinari, il virus è stato eradicato in oltre il 90 per cento dei casi con significativa riduzione delle complicanze più gravi».
Si è detto che le cure costano 14mila euro a malato, non più di un ciclo antitumorale. Quanti saranno i soggetti da trattare?
«Le associazioni dei malati hanno indicato 300mila persone con epatite C».
Avviando alle cure tutti i malati si eviteranno complicanze, con risparmi enormi.
«Dopo questi primi due anni di trattamenti mirati è venuto il momento di dedicarci anche ai pazienti meno gravi, allargando i criteri di accesso alle cure. Noi, come medici, vorremmo curare tutti».
Quali sono i farmaci impiegati nella nuova terapia denominata Zepatier?
«I farmaci di cui parliamo sono grazoprevir ed elbasvir. Funzionano in combinazione tra loro».
In che modo in particolare?
«Attaccano il virus in punti diversi della sua struttura, il codice che racchiude informazioni attraverso le quali infetta e governa i processi patologici. L’attacco su due punti è più efficace, e rapido, più di quanto non sarebbe con una sola molecola».
Come è stata dimostrata l’efficacia?
«Con lo studio Coral presentato al congresso dell’American Association for the Study of Liver Diseases (AASLD), si è visto, dopo test su una popolazione vastissima, che la validità del farmaco è universale. In Italia due centri stanno già utilizzando la combinazione nota come doppietta MSD».
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E che riscontri avete avuto?
«Gli studi dicono che nei pazienti con epatite cronica da virus C di genotipo 1 la possibilità di cura è superiore al 95 per cento, particolarmente elevata nel genotipo 1B, quello dominante in Italia, dove la guarigione avviene in oltre il 99 per cento dei soggetti. L’ente regolatorio che ha approvato grazoprevir ed elbasvir stabilisce regole di utilizzo diverse, 12 o 16 settimane a seconda del sottotipo».
Prima dei farmaci innovativi che cosa accadeva?
«La terapia dell’epatite C con interferone e ribavirina aveva dei limiti, era scarsamente efficace, tollerata a fatica dai pazienti che magari spesso scoprivano, mesi dopo, che il virus non era stato sconfitto. Una frustrazione enorme».
E oggi cosa sta cambiando?
«I pazienti arrivano nei nostri centri pieni di speranza. Merk ha condotto lo sviluppo della molecola su categorie difficili, con risultati impressionanti. I farmaci in questione sono tollerati ottimamente ed è in corso la contrattazione per la rimborsabilità. C’è molta attesa: il fatto di avere un’altra opportunità per garantire terapie efficaci a specifiche categorie di pazienti è estremamente importante».