Vienna, 17 settembre 2014 – Bisogna stare accanto a un diabetico dalla mattina alla sera per capire le mille difficoltà che incontra nella vita di ogni giorno. Guarda la glicemia, misura le calorie che sta per introdurre a tavola, controlla i valori dell'emoglobina glicata, aggiungi l'insulina, prendi una bustina di zucchero, attento a non svenire. Insomma non è solo un problema di medicine e di clinici, uno slalom attorno al rischio di complicanze a cuore, reni, occhi, quando non tenuto adeguatamente sotto controllo, ma può avere anche un importante impatto psico-sociale sulle persone che ne soffrono e sui loro familiari. Questo è uno dei tanti aspetti emersi dallo studio internazionale DAWN2, l’indagine più ampia mai svolta, con lo scopo di fotografare in particolare l’impatto della malattia sulla vita di tutti i giorni. Antonio Nicolucci, responsabile del Dipartimento farmacologia clinica ed epidemiologia della Fondazione Mario Negri Sud, ha raccolto le testimonianze dei pazienti nel centro scelto per elaborare e analizzare i dati dello studio raccolti nei vari Paesi. Lo studio DAWN2, realizzato da International Diabetes Federation (IDF), International Society for Pediatric and Adolescent Diabetes (ISPAD), International Alliance of Patients’ Organization (IAPO) e Steno Diabetes Center, con il contributo non condizionato di Novo Nordisk, ha coinvolto, infatti, oltre 15.000 tra persone con diabete, familiari e operatori sanitari (medici, infermieri, dietisti), intervistati in 17 Paesi di 4 continenti.
Nel nostro Paese – dice Nicolucci – emerge una situazione particolare. Una persona con diabete su 2 dichiara che la malattia causa un elevato ‘distress’. Possiamo definire il distress come il peso psicologico che la persona con diabete percepisce nel dover gestire la propria malattia cronica e nel dover affrontare il futuro. Questo dato è significativamente maggiore della media europea, che si attesta intorno al 40%. Se a questo dato ne associamo un secondo, legato a come la persona con diabete giudichi quanto la cura, il dover assumere continuativamente farmaci per tutta la vita, compresse o ancor peggio insulina per via iniettiva, interferisca negativamente con i propri progetti di vita e la quotidianità, emerge un chiaro quadro di disagio.
Se tutto ciò non bastasse, Nicolucci aggiunge un carico: “relativamente alla cura, il 60% delle persone con diabete dichiara di temere il rischio di ipoglicemia, con tutto il corredo di problematiche connesse, dall’impatto negativo su attività lavorativa, vita sociale, guida, pratica sportiva, tempo libero, sonno, sino alla tendenza emersa da diversi studi che hanno documentato come chi abbia avuto esperienza di ipoglicemia, specie se grave, tenda a diminuire l’adesione alla terapia e agli stili di vita raccomandati, riportando, in un perverso circolo vizioso, peggiore qualità di vita e maggiori preoccupazioni legate alla malattia”. E ciò risulta vero e confermato anche dalle dichiarazioni dei familiari che, a loro volta, si dicono, per il 64% preoccupati per il rischio di ipoglicemia cui può andare incontro il proprio congiunto.
Quanto la modalità di cura della malattia e la paura dell’ipoglicemia abbiano un pesante impatto sull’equilibrio della persona con diabete è ben conosciuto. È noto come un buon controllo metabolico sia in grado di prevenire lo sviluppo e la progressione delle complicanze croniche del diabete: retinopatia, nefropatia, neuropatia, malattia cardiovascolare, dice Simona Frontoni, Responsabile UO Diabetologia Ospedale Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma. “Tuttavia, fino ad oggi, il prezzo da pagare per ottenere e mantenere valori di emoglobina glicata considerati ottimali, nelle diverse categorie di persone con diabete, è stato molto elevato. In primo luogo, per il pericolo di ipoglicemia che, oltre a rappresentare un fattore di rischio per mortalità e morbilità cardiovascolare, ha un impatto devastante sulla qualità di vita della persona. Poi, per la terapia insulinica, necessaria al raggiungimento di questo controllo ottimale, che ad oggi necessita di schemi estremamente rigidi, con una mancanza di flessibilità che impatta anch’essa pesantemente sulla qualità di vita del paziente.
Questi problemi dovrebbero essere superati dalle nuove insuline, come l’insulina degludec, analogo dell’insulina caratterizzato da durata d’azione superiore alle 24 ore e con un effetto metabolico distribuito uniformemente nel corso della giornata, la cui ridotta variabilità di assorbimento assicura un profilo glicemico più stabile con un’importante riduzione del rischio di ipoglicemia. L’insulina degludec permette di superare le criticità sin qui esposte, in virtù delle sue caratteristiche innovative. Infatti, gli studi a nostra disposizione dimostrano che, a parità di controllo glicemico, l’insulina degludec determina un numero di ipoglicemie significativamente inferiore, rispetto all’insulina glargine. Questo aspetto è di particolare interesse, perché riguarda anche le ipoglicemie notturne, che rappresentano uno dei timori più avvertiti dalla persona con diabete trattata con insulina. Inoltre, le caratteristiche cinetiche di questa insulina consentono una grande flessibilità nei tempi di somministrazione, tale che il paziente può modulare la distanza tra una somministrazione e l’altra, quando necessario nella vita di tutti giorni, conclude Frontoni.
Lo studio DAWN2 è il primo studio di queste dimensioni che ponga particolare attenzione agli aspetti psico-sociali della gestione del diabete, coinvolgendo non solo le persone con la malattia, ma tutti coloro che hanno a che fare con il diabete, familiari per primi”, sostiene Salvatore Caputo, Presidente di Diabete Italia. Il Progetto di indagine DAWN, iniziato diversi anni fa con il primo studio, ha sicuramente contribuito a modificare il modo in cui noi medici guardiamo alla malattia diabetica: non solo la cura della glicemia, ma la necessità di presa in carico della persona che, proprio per quanto emerge da questi dati, ha bisogno non solo di farmaci, ma di essere compresa, aiutata ed educata a convivere con il diabete. E tutto ciò si riverbera anche nelle politiche che vengono messe in atto nel nostro Paese nel quale, prima con la legge 115 del 1987, successivamente con il Piano nazionale per la malattia diabetica del 2013, si vuole porre la persona con diabete al centro del sistema.