Roma, 3 luglio 2018 - Il compianto Marco Biagi sosteneva che non c’è nessun incentivo economico capace di compensare un disincentivo normativo. Il paradosso del decreto Dignità è che rischia di essere un provvedimento che, almeno per quanto riguarda il pacchetto lavoro, somma l’assenza di agevolazioni fiscali o di tagli del costo del lavoro per sostenere nuove assunzioni con l’introduzione, al contrario, di vincoli e lacci ingessanti e scoraggianti a discapito della timida ripresa dell’Azienda Italia. Non è in discussione il contrasto degli abusi, degli illeciti, delle irregolarità in materia di tutela dei lavoratori. Così come è sicuramente da condividere la ricerca di strumenti e condizioni che favoriscano una maggiore stabilità dei rapporti di impiego. Soprattutto e principalmente a favore dei giovani e di quella generazione di giovani che è stata pesantemente penalizzata dalla lunga e drammatica crisi di questo decennio.
Decreto dignità, cosa prevede: giro di vite su contratti a termine
Ma, se le intenzioni del Ministro Luigi Di Maio sono certamente condivisibili, le nuove regole previste dal suo decreto appaiono ampiamente sottodimensionate rispetto agli obiettivi e, purtroppo, capaci di produrre un effetto boomerang proprio a danno di coloro che il provvedimento vorrebbe favorire e meglio garantire. Due, tre esempi, per scendere nel concreto. Quale è il senso della riduzione da 5 a 4 delle proroghe del contratto a termine? O dell’abbassamento da 36 a 24 mesi della durata massima del rapporto? Che cosa ci si attende dalla reintroduzione delle cosiddette causali, paradossalmente previste per i contratti più lunghi, quelli superiori a 12 mesi e non per quelli sotto quel limite? E ancora: perché assimilare il contratto a termine a quello derivante dalla cosiddetta somministrazione, quando in tutta Europa le regole, non a caso, sono differenti perché sono strumenti che hanno funzioni non assimilabili? Senza contare che in un Paese privo di servizi pubblici per l’impiego anche solo decenti e dove il «nero» è dilagante, le Agenzie per il lavoro (attraverso le quali passa la somministrazione ma non solo) rappresentano la più robusta infrastruttura di lavoro flessibile e non solo, tutelato e controllato.
Insomma, se il lavoro non si crea per legge o per decreto, di sicuro leggi e decreti possono contribuire a disicentivarlo: non sarebbe il primo caso di eterogenesi dei fini.