Mercoledì 25 Dicembre 2024
CLAUDIO CUMANI
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Ho visto un re che ha novant’anni: "Io, Dario Fo, una vita esagerata"

Recita, scrive, dipinge. "E mi indigno ancora contro la banalità"

Dario Fo compie 90 anni (Ansa)

Milano, 22 marzo 2016 - FO, È ARRIVATO il tempo dei bilanci? Il Grande Affabulatore sorride: «Ho avuto una vita esagerata piena di soddisfazioni, incontri, successi. Quando credevo di essere all’angolo sbucava che il momento che attraversavo era proprio quello che serviva per smuovere gli interessi. Auguro a tutti una vita come la mia. Oddio, non a tutti: ai miei nemici no».  Dario Fo giovedì compie 90 anni e vive questa ricorrenza con la frenesia di un ragazzino: «Tutti mi cercano, faccio cinque interviste al giorno, avverto attorno a me un grande entusiasmo. E’ troppo, troppo». Il giorno del compleanno è stata organizzata per lui, con la complicità del figlio Jacopo, una grande festa ad inviti nello studio Melato del Piccolo Teatro di Milano: ci saranno gli amici, i parenti, i colleghi. «Quando giovedì notte andrò a letto non mi addormenterò, sverrò». 

I 90 ANNI di Fo sono nel segno dell’attivismo: scrive in continuazione libri (uno sul suo rapporto con la religione ‘Dario e Dio’ edito da Guanda è appena uscito), dipinge, recita, progetta, tiene conferenze. «In questo momento – dice – ho una decina di mostre in Italia, una in Francia, una in America. Dicono che faccio troppo, che mi sovraespongo. Ma questa è la mia vita. Se hai idee, fai tante cose. Non immaginavo di arrivare fino a questo punto in condizioni di lucidità». 

C’è un’ombra lunga su queste giornate di festa? «Certo, l’assenza di Franca. Da tre anni la penso, la sogno quasi tutte le notti, mi manca. Perché era una parte della mia vita. Abbiamo litigato, ci sono stati momenti di crisi ma poi alla fine quello che ci univa tornava a galla. Non potevamo che vivere insieme».

Franca Rame le è stata molto vicina anche nel periodo del Nobel. Quello è stato un punto di svolta della sua vita?  «E’ stato un episodio importante ma non ha cambiato nulla. Mi spiace che qualcuno abbia provato disappunto perché un comico aveva vinto un riconoscimento così importante. Mi ha rattristato la pochezza di alcuni. Non per tutti è stato così: Umberto Eco, ad esempio, era felice del mio Nobel».

Quali sono gli incontri più significativi della sua vita?  «E come si fa a enumerarli? In Francia e in Italia ho conosciuto attori, filosofi, pensatori, scrittori, pittori... Da tutti ho imparato molto. Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con amici che mi hanno consentito di assorbire le loro idee e rielaborarle». 

E’ vero che l’altro giorno ha telefonato a Giorgio Albertazzi? Come mai?  «Per salutarlo e per auto-solennizzare la nostra resistenza alla vita. Lui ha 92 anni e riesce a fare in teatro spettacoli che massacrerebbero un giovane. E ci gode pazzamente». 

Chi raccoglierà la sua eredità? «I tanti ragazzi che lavorano con me, che recitano le mie cose. L’Italia è piena di talenti ma c’è distrazione da parte di chi li dovrebbe coltivare. I soldi vengono indirizzati da altre parti, verso gente che si mette al servizio dei potenti. E’ la legge del mercato». 

Lei non è tenero con il sistema culturale italiano. «Per nulla, mi continuo ad indignare perché vedo gente che sposa l’ovvio e il banale. Viviamo in un Paese spudorato fatto di intrallazzi. Abbiamo perso la dignità, la coscienza e l’orgoglio. E non basta più lo sberleffo per scuoterci».

Recentemente ha detto di divertirsi molto con Crozza e Fiorello e un po’ meno con Benigni. Perché ce l’hai con lui?  «Ma no, non ho parlato male di Roberto. Ho solo detto che, possedendo lui grandi doti di raccontatore, a volte scantona su certi argomenti e ho fatto un esempio legato alla Bibbia e al profeta Mosé. Parla fiorito fino a un certo punto, poi scappa. Perché? Bisogna davvero incartare sempre per bene il regalo?»

Durante una una giornata scrive, recita, dipinge. Ma a cosa preferisce di tutto questo? «Integro le mie passioni. Mi metto a dipingere se non trovo una soluzione accettabile all’ideazione di un lavoro teatrale. E poi torno a scrivere se mi sono infilato in un buco nero davanti a una tela. E così via». 

La sua prima arte resta però il teatro.  «E’ vero, anche se due ore di palcoscenico mi stancano molto. Ma il mestiere e la passione mi permettono di portare a casa ogni volta la pelle». 

Ma qual è il suo compito da intellettuale? «Raccontare la storia censurata e le cose che non si insegnano nelle università. Insomma, scoprire le carte nascoste».