Padova, 17 aprile 2020 - "In un prossimo futuro la Covid-19 potrebbe diventare meno aggressiva, e l'umanità riuscirà a conviverci, come succede già oggi con l'influenza e con i raffreddori, virus questi ultimi che ci accompagnano da migliaia di anni". Giorgio Palù, professore emerito all'Università di Padova, presidente uscente della Società europea di virologia, è fiducioso. "Troveremo il modo per tornare alla normalità". FOCUS / Coronavirus, il bollettino del 17 aprile
Lei è consulente del governatore Zaia, il modello Veneto ha indicato una via per mettere un freno all'epidemia. Ma il virus non conosce confini, potrebbe placarsi da solo? "Vede, questo Coronavirus ha fatto il salto di specie, ha una somiglianza genetica del 98 per cento con quello del pipistrello, non ha interesse a sterminare la popolazione. Credo che potrebbe diventare più “umano”. L'esperienza ci dice che dobbiamo immaginare due possibili scenari. Uno, il virus si estingue, come avvenuto con la Sars, in parte con la Mers, sindrome mediorientale, che ha avuto solo qualche riaccensione. Ma è più probabile che questo virus ce lo ritroveremo di ritorno dopo un viaggio tra i continenti, ora ad esempio sta interessando l'Africa".
Secondo lei? "Ritengo che succederà quel che è capitato con altri coronavirus zoonotici, che si sono adattati all'uomo, diffondono per via aerea, e tornano a trovarci nella stagione invernale. Non dico che oggi il virus sia meno cattivo. Più di un migliaio di sequenze nelle banche di tutto il mondo dicono che è un virus che muta poco, abbiamo cioè in circolazione il progenitore che è nato in Cina".
Allora come può aver perso virulenza? "Io dico che se il virus permane, non ha interesse ad ammazzare l'ospite umano, perché verrebbe meno la sua stessa sopravvivenza. Sono le misure sanitarie adottate che fanno si che l'epidemia sia meno forte, e che in molte regioni l'indice replicativo sia sceso sotto di uno, quindi possiamo prevedere che si estinguerà questa fase dell'epidemia, ma non è detto. Ho ipotizzato, in uno scenario teorico, che il virus, quando infetta la specie umana, abbia interesse a conviverci senza essere letale".
Ma rispetto a due mesi fa, chi dovesse ammalarsi oggi avrebbe più chance di cavarsela? "Premesso che il virus per ora non è cambiato, adesso il rischio è mitigato dal fatto che le rianimazioni sono meno sature, abbiamo più respiratori, la diagnosi è tempestiva, si estendono i test sierologici, cominciamo a capire che qualche farmaco funziona meglio di altri".
Perché nella vicina Germania il virus è stato da subito meno cattivo rispetto all'Italia? "Tra i tedeschi l'età media dei soggetti positivi è di 43 anni, in Italia di 64 anni. In Germania, per ragioni demografiche, perché hanno confinato a casa i loro anziani, o per la disponibilità di letti in terapia intensiva, le letalità è stata inferiore".
Ma come usciremo da questa condizione di arresti domiciliari? "Molto dipende dal trend dei contagi. In Cina il SARS-CoV2 si è diffuso rapidamente, e altrettanto velocemente i contagi sono scesi, seguendo l'andamento di una curva gaussiana, a campana. In Italia i numeri scendono più lentamente, disegnano una spalla più larga, così i tempi si dilatano".
Sarebbe meglio imitare la Cina, con una chiusura drastica, mascherine e contatti tracciati, sposare la linea dell'Oms come in parte ha fatto il governo, o cosa altro? "Ritengo efficace il modello adottato a Singapore e Hong Kong".
La Lombardia è la regione più colpita. Inizialmente il Veneto aveva il triplo dei contagi dell'Emilia Romagna, e oggi ha un numero di gran lunga inferiore agli emiliano-romagnoli, come si spiega? "Qui entrano in gioco una serie di variabili che regolano la diffusione dell'agente infettivo, la densità di popolazione e l'urbanistica, modelli sanitari che convergono più sugli ospedali, altri come il nostro più articolati nel territorio, a fare da filtro".
Ma in attesa di un vaccino, cosa altro possiamo fare per difenderci in Italia? "Rispettare le regole igieniche, mantenere le distanze, stretto controllo e sorveglianza attenta sul territorio, una precisa anagrafe sanitaria. Ci vorrebbe una regia europea per armonizzare le politiche sanitarie, riprendere la civile convivenza e consentire i viaggi. L'Italia presenta zone che hanno superato l'emergenza, altre che stanno uscendo a fatica dalla fase critica, e un intreccio normativo con il quale anche il manager della fase2, Vittorio Colao, dovrà misurarsi".
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