Roma, 6 marzo 2018 - Condanna definitiva, per il reato di maltrattamenti di animali, per il gestore di un circo accusato di aver tenuto 5 elefanti incatenati, limitando così i loro "più elementari movimenti" in una "situazione incompatibile con la loro natura e produttiva di gravi sofferenze". La terza sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna inflitta dal tribunale di Alessandria all'imputato - un 82enne originario di Catania - che dovrà pagare un'ammenda e risarcire il danno alle associazioni animaliste (Lav e Anpana) parti civili nel processo.
La Suprema Corte, con una sentenza depositata oggi, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal gestore del circo: "la detenzione degli elefanti in catene, al di fuori dei momenti in cui il contenimento è strettamente necessario per esigenze di cura o pulizia, appare assolutamente incompatibile - spiegano i giudici di 'Palazzaccio' - con la natura degli animali, perché realizza una compressione intollerabile della possibilità che l'elefante ha di muoversi, sia pure nello spazio limitato di un recinto. Tale condizione è anche produttiva di gravi sofferenze, perché consente al più movimenti minimi, inibendo del tutto la deambulazione e l'assunzione della posizione sdraiata su un fianco".
Nel caso in esame, le "violazioni poste in essere risultano macroscopiche": la Corte parla di "assoluta incompatibilità" con la natura dell'animale dell'uso di catene applicate contemporaneamente sia a una zampa posteriore che a una zampa inferiore, trattandosi di uno strumento di contenimento di per sè produttivo di gravi sofferenze". La situazione in cui gli elefanti erano stati trovati "non era passeggera e contingente", conclude la Cassazione, nè "dettata dalla necessità di operare per la pulizia e la cura degli animali, perché gli animali erano legati con catene corte che ne impedivano i movimenti ed erano stati trovati in tale situazione all'interno del tendone dove venivano ricoverati per la notte, senza che vi fossero operazioni di pulizia in programma o in corso", concludono i supremi giudici. [email protected]