di Marco Galvani
"Mia mamma guidava la moto, mio papà pure, allora la macchina era un lusso. E per noi ragazzini il primo obiettivo era arrivare a 14 anni per avere il motorino. E poi in quegli anni l’industria italiana delle moto era fantastica. Per i più pacati c’era la Vespa, mentre per noi smanettoni ce n’era di ogni. Se in più ci metti l’aria che si respira qui, nella terra dei mutùr, fai fatica a tenerti fuori da quel mondo".
Giuseppe Giacobazzi, al secolo Andrea Sasdelli, non è soltanto un comico e attore della terra di Romagna. E’ "un motociclista ignorante come la Ducati". Ducatista sfegatato. Di cuore. Misano è la ‘sua’ pista e quest’anno "tornerò a marcare visita. Non si scappa. Abbiamo una bella schiera di piloti, ma tocco ferro e non voglio fare pronostici. Dico solo che Pecco Bagnaia può giocarsi eccome il titolo. E poi l’anno prossimo con Enea Bastianini sono certo che sarà una gran bella squadra".
Misano sarà anche l’ultima di Dovizioso...
"Eh sì, il Dovi. Che duelli con Marquez. Ma sarà anche la prima volta senza Valentino. Li saluteremo con un po’ di malinconia. Con loro mi è venuto spesso il magone, come con Capirossi, Bayliss (sai le birre che ci siamo fatti insieme), Stoner, altro fenomeno assoluto. Ma c’è anche il magone quello brutto: la morte del Sic è stato un colpo basso. Mi sarebbe piaciuto vederlo in Ducati e quanto mi manca: era ruspante e fantasticamente romagnolo".
Forse oggi al Motomondiale mancano proprio piloti così?
"Non c’è un personaggio, è vero, ma siamo comunque davanti a piloti che sono immensamente dei talenti, hanno l’ignoranza nel polso. Pensiamo a Quartararo, quando era ancora nel team secondario Yamaha, Ducati aveva provato a prenderselo, ma lo hanno blindato nella squadra ufficiale".
Da tifoso non perde una gara anche delle classi e campionati minori. E da pilota?
"Facciamo ordine. Il mio primo motorino è stato un Cambridge della Minarelli completamente elaborato. Era un missile. Poi sono arrivate le Honda, l’enduro, il CBR fino all’incontro con Ducati. Ero a Misano, quando ancora si girava al contrario. Una moto sanguigna, mi hanno subito detto ‘devi guidarla con ignoranza, soltanto così ti capisce’. E così è stato".
E’ stato amore a prima vista e non vi siete più lasciati?
"Le ho provate quasi tutte, cominciando dalla 916. Con l’età la passione rimane, ma quella che cala è la resistenza. Prima facevo 800 chilometri in un giorno e alla sera andavo a fare l’aperitivo, oggi dopo 300 chilometri torno a casa e prendo l’Oki. Comunque sì, Ducati è Ducati. Poi abito pure vicino allo stabilimento. Adesso penso di comprarmi un Monster 1200 per divertirmi in maniera rilassata. Perché si esagera solo in pista. Se sbagli in strada non hai vie di fuga".
E’ una passione di famiglia?
"Certo, anche mia moglie viaggia in Monster. E poi quando mia figlia aveva tre mesi l’ho messa sulla sella della Ducati, ho acceso e al suono del bicilindrico ha sorriso. Che soddisfazione!".