Milano, 8 ottobre 2016 - Alan Sorrenti oggi ha 65 anni ma è rimasto un Figlio delle stelle.
"Resto un outsider sempre proiettato verso il futuro. Sto lavorando a un nuovo progetto per il quale attingo alle mie radici. Sono stato un artista anomalo, ho cambiato mondi, non ho fatto sempre la stessa cosa. Le nuove generazioni conoscono i Figli delle Stelle, ma non sanno chi è Alan Sorrenti. Adesso voglio spiegarglielo".
Cosa le ha tolto l’età e cosa le ha portato? "Mi ha tolto un po’ di energia fisica. Però allo stesso tempo l’età mi ha dato una visione globale della mia vita. Soprattutto l’accettazione di una mia natura diversa dagli altri. Mio figlio, che ha 13 anni, vive una fase di omologazione, vuole essere come tutti. Questa voglia ogni tanto è venuta anche a me, e allora mi chiedevo perché non desideravo essere come gli altri. Adesso ho accettato il fatto che non lo sono".
In un’intervista abbastanza recente ha detto che oggi c’è ancora bisogno del messaggio dei “Figli delle stelle”, dal titolo della sua canzone più famosa. Cosa intendeva? "Quando l’ho scritta è stata una parziale illuminazione. Allora erano viaggi non interstellari, ma aerei, andavo e venivo tra la West Coast e Roma. Perché oggi c’è ancora bisogno di quel messaggio? Basta guardarsi intorno. I Figli delle Stelle negli anni Settanta volevano cambiare il mondo, cercavano di avvicinarsi a un’idea di felicità che in certi viaggi psichedelici era possibile acciuffare. C’erano i sogni, c’erano le ambizioni, c’era un’idea di sesso che doveva liberarsi – e oggi probabilmente abbiamo esagerato. C’era l’ambizione alla purezza che oggi è così difficile da raggiungere. I Figli delle Stelle sono gli outsider, i visionari che inseguono l’unico sogno che l’umanità non ha mai raggiunto: la pace".
In un’intervista recente ha detto: "'Figli delle Stelle' trae il suo splendido frutto concettuale dall'eroina" "Non l’ho mai detto. Naturalmente c’è stato un mio passato in quel senso, ma in un altro periodo. “Aria”, il mio primo album sperimentale, conteneva tutti gli elementi che poi ho essenzializzato nei Figli delle Stelle. Ci legavamo alla filosofia degli hippie».
Ma la cultura hippie comprendeva anche l’uso di stupefacenti. "Quello è venuto dopo. È stato qualcosa che usavo per sfuggire a quanto mi diceva la mia natura intima: “Guarda che questo non è il tuo mondo, non sei nato per essere una popstar”. “Non so che darei” era un pezzo rock che non fu capito e da lì iniziarono i guai".
Cosa pensa dei rapper ribelli? Equivalgono a quello che era lei 40 anni fa? "Probabilmente lo sono. Io non amo molto il rap. Sono legato a un altro tipo di musicalità, ma ci sono delle cose che possono essere interessanti. Quello che mi piace dei rapper è che riescono a trasformare le parole in melodia".
Come è il suo rapporto con Napoli? "A Napoli c’è l’inquietudine del vulcano. Con la città ho un rapporto di amore-odio. Mia mamma era gallese, io andai in Inghilterra, che era un mondo completamente diverso. Quando tornai a Napoli giravo con i capelli lunghi, un abbigliamento eccentrico, e me ne dicevano di tutti i colori. A Napoli c’erano delle cose che proprio non facevano parte del mio mondo. Per esempio il rituale di mangiare a una certa ora cibi di un certo tipo. O ancora: io non ho mai avvertito una vera diversità tra uomo e donna, invece lì c’era una distinzione netta tra il maschio e la femmina, forse dovuta a reminiscenze arabe".
Oggi dove vive? "Da quando ho lasciato Napoli la mia base è sempre stata Roma. Però ero già abituato a vivere il mondo. L’Inghilterra è stato il mio primo passaggio, grazie a mia mamma che a 16 anni mi mandò in una scuola privata a Folkestone. C’erano ragazzi di tutte le nazionalità, il mio migliore amico era un arabo. I Figli delle Stelle nascono ovunque".