Roma, 11 marzo 2016 - I carabinieri che indagano sull’omicidio di Luca Varani sono alla ricerca di una donna, bionda, sui 25 anni, che il giovane aveva incontrato la mattina di venerdì 4 mentre raggiungeva l’appartamento di via Igino Giordani, dove poi sarebbe stato seviziato e ucciso da Manuel Foffo e Marco Prato. Varani e la sua amica avrebbero viaggiato insieme tra le 7.30 e le 8 del mattino sul treno (che nell’hinterland della capitale funziona in pratica da metropolitana esterna) in arrivo a Roma da Viterbo e avrebbero parlato. Secondo gli investigatori, quella ragazza potrebbe essere l’ultima persona ad aver visto Luca vivo, a parte i due assassini in attesa del loro ospite al Collatino.
Intanto, ieri pomeriggio nel carcere di Regina Coeli, il pm Francesco Scavo è tornato a sedersi davanti a Manuel Foffo dopo il primo interrogatorio di domenica scorsa nella caserma dei carabinieri di piazza Dante. La richiesta di un secondo incontro con il rappresentante dell’accusa è arrivata dallo stesso Foffo, dopo le dichiarazioni del suo complice Prato al gip Riccardo Amoroso durante l’interrogatorio di convalida del fermo, l’altro ieri in carcere. L’appuntamento con il giudice coinvolgeva entrambi gli indagati e si è concluso con la conferma della custodia cautelare per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi, ma senza la premeditazione. E ha fatto emergere un risvolto non inedito negli annali della cronaca nera: lo scambio di accuse a proposito della paternità del colpo di grazia sul corpo torturato della vittima, fra i due amici (sia pure da soli due mesi) che hanno dormito abbracciati nella stessa camera della mattanza.
Quanto al pugnale rimasto piantato nel torace di Luca e rimosso dal medico legale solo al momento dell’autopsia, secondo le prime valutazioni comunicate dal perito agli inquirenti la ferita, per quanto grave, non sarebbe stata decisiva per provocare la morte. Anche senza quel fendente quasi rituale (che Foffo ha attribuito fin dalla prima confessione a Prato e che quest’ultimo smentisce), Luca non avrebbe avuto scampo a causa delle lesioni e dei traumi già subiti per mano dei suoi aguzzini. Per la Procura, che ha incassato il rifiuto del gip di contestare anche l’aggravante della premeditazione, l’ipotesi investigativa resta invece quella del delitto come tragico esito di una «ricerca» iniziata 48 ore prima da Foffo e Prato, usciti in macchina prima di iniziare la loro ‘no stop’ a base di alcol e cocaina in quantità industriali, per dare la caccia alla vittima ideale. Alla fine la scelta sarebbe caduta proprio sul soggetto più «fragile», meritevole della massima punizione per non aver resistito all’adescamento.Sul conto di Prato, che a detta del suo avvocato davanti al gip ha manifestato il suo pentimento pur rifiutando la patente di ‘boia’ affibbiatagli da Foffo, il sito Dagospia pubblica un ritratto a tinte particolarmente forti.
«Uno dei suoi amici più cari ha dichiarato a Dagospia – si legge – che Prato aveva già tentato il suicidio almeno altre tre volte. Ma sempre per ‘futili motivi’. Per un amore finito, una ‘basata’ (una fumata di coca in gruppo, ndr) troppo aggressiva e per il rapporto conflittuale che aveva con uno dei genitori. Ma di morire non gli era mai riuscito». Neanche l’ultima volta, sabato scorso, con il mix di alcol e sonniferi mandato giù nell’albergo dove si era rifugiato dopo il delitto. «Marco da alcuni gay romani – continua l’articolo – era considerato anche una specie di ‘stalker’. Una sua ‘preda’ ci ha confessato che ha dovuto bloccare ogni comunicazione con lui. Marco era compulsivo nelle richieste di sesso e incontri. Ma sempre lucido, presente a se stesso e con un ego smisurato». E un altro: «Marco voleva fare soltanto orge». E ieri, confermando il contenuto di una e-mail inviata alla redazione di Pomeriggio 5, un ragazzo ha raccontato di essere stato contattato qualche tempo fa da Prato e adesso si dice convinto di averla scampata bella. «Lui e l’amico mi invitarono ad un festino. Erano tutti nudi. C’erano alcol e cocaina a volontà, ma io me ne sono andato perché non mi sentivo a mio agio. Poi Marco si è scusato per il loro atteggiamento, dicendo che non volevano mettermi in imbarazzo».