Bruxelles, 18 maggio 2016 - Per l'accordo sul Transatlantic Trade and Investment Partnership tra Ue e Usa non è il periodo buono. Dal punto di vista dell’economia, per la verità, lo sarebbe: il vantaggio per una famiglia europea di 4 persone consisterebbe, per esempio, in un aumento del reddito annuo di 545 euro grazie a incrementi salariali e calo dei prezzi dei beni importati. Questo dicono le stime, ma tra le stime e la realtà la distanza spesso è enorme. E’ il contesto politico il problema. La sfiducia delle opinioni pubbliche verso le megaintese transcontinentali di cui si vede solo il lato oscuro, sulla base di timori legittimi alcuni dei quali non ben fondati, e verso ciò che proviene da Bruxelles sta complicando tutto. Mettiamoci le presidenziali Usa, nel 2017 le elezioni federali in Germania e le presidenziali in Francia, ecco che l’accordo diventa un terno al lotto. Chi rischia di perdere voti? Obama vorrebbe concludere entro l’anno il negoziato, ma per il repubblicano Donald Trump il "commercio giusto" è il vero nemico, sentimento diffusissimo nella ‘working class’ di cui si dichiara protettore. Ma anche in casa democratica prosperano forti pulsioni protezionistiche e al Congresso l’accordo dovrà cercare voti. Il percorso europeo è tutto fuorchè lineare. La Commissione negozia con un mandato definito dai governi all’unanimità e i ministri del commercio hanno appena indicato che il Ttip dovrà essere "forte ed equilibrato", non "light". Il Parlamento segue tutte le fasi della trattativa i cui resoconti sono in larga misura pubblici. L’accordo dovrà essere approvato dal Consiglio (all’unanimità) e dagli eurodeputati. Poi la ratifica dei parlamenti nazionali. E ci saranno pure dei referendum: in Olanda si stanno già raccogliendo le firme. Difficile sostenere che tale processo non è democratico, ciononostante così affermano i detrattori del Ttip. Certo, basta il no in uno dei passaggi e salta tutto. Come dire: tutto è appeso a un filo.
Da che parte tira il vento lo mostra chiaramente uno studio della fondazione tedesca Bertelsmann: dal 2014 al 2016 la quota di opinioni favorevoli al Ttip è passata dal 55% al 17% in Germania e dal 53% al 15% negli Usa. In Germania e Austria le ‘élites’ politiche sono per lo più favorevoli. I britannici pensano di godere ora, sempre e comunque di un rapporto "unico e speciale" con gli Usa, dunque sono favorevolissimi, Brexit o no. Così il ‘fronte del nord’. In Italia ci sono più favorevoli che contrari, e apertamente schierato per il il Ttip è il governo Renzi. Si vede con terrore un Ttip arenato mentre negli Usa si vendono più Parmesan che Parmigiano ‘vero’ e fiumi di finti Chianti, senza tutela del ‘made in Italy’ agro-alimentare; con le gare d’appalto ostacolate dal ‘buy american’, che impedisce la partecipazione delle imprese europee mentre nella Ue i mercati pubblici sono più aperti. Le tensioni prevalgono nel mondo agricolo: si temono la perdita di competitività dei prodotti e lo spostamento delle preferenze dei consumatori dovuto ai prezzi americani inferiori per prodotti di qualità inferiore.
Per la Spagna l’abbattimento delle tariffe doganali su tonno, sardine, formaggi, tessili, scarpe e piastrelle significa 350 mila posti di lavoro in più. E poi c’è la Francia: Hollande, presidente sempre più indebolito, ha detto che allo stato attuale è "no all’accordo, non rinunceremo mai a principi essenziali" come protezione dei consumatori, sanitaria, ambientale. Quasi che l’accordo fosse già sul tavolo e, invece, il negoziato è in alto mare. Appare divisa la Polonia nazional-conservatrice: ora sembrano prevalere i timori per l’agricoltura sulla seduzione politica di un avvicinamento all’America.