Milano, 4 aprile 2016 - SULLE orme di J.K. Rowling, la regina del fantasy che a 50 anni ha venduto 450 milioni di copie dei suoi sette romanzi su Harry Potter. Veronica Roth potrebbe essere sua figlia (ha 27 anni) ma la sua saga in 4 volumi scritta in 5 anni - Divergent, Insurgent, Allegiant e Four - è già a quota 36 milioni (500mila solo in Italia) e i tre film che ne sono stati tratti vanno a gonfie vele (il terzo, Allegiant, è nelle sale in questi giorni). E sta già lavorando a una nuova serie “top secret”. Ieri Veronica Roth ha presentato ai suoi fan l’“edizione limitata metallizzata” della serie (e oggi sarà alle 18 alla Coop Ambasciatori di Bologna): alla Rizzoli in Galleria si è formata una ressa di migliaia di giovani fan in attesa di vedere da vicino e ottenere un autografo della propria beniamina. Partiamo proprio da qui, allora.
Veronica Roth, le va stretta la definizione di “autrice per teenager”?
«Sono felice di avere tanti lettori tra i giovani adulti, anche se non è stata una scelta a priori quella di rivolgermi a questa fascia di età. Il tema della ricerca di un’identità che è al centro della mia saga colpisce in particolare la sensibilità e i gusti degli adolescenti, così come l’interrogarsi sul futuro della nostra società. Ma so anche di tanti adulti che apprezzano ciò che scrivo. Mi fa particolarmente piacere comunque che i miei romanzi inducano i giovanissimi alla lettura, penso sia molto importante».
Come e quando è nata l’idea della “Divergent series”?
«Ero al primo anno di università, studiavo psicologia e sono venuta a conoscenza di una terapia cognitivo-comportamentale che espone i pazienti alle rispettive fobie costringendoli ad affrontarle per riuscire a superarle. Da qui è partito lo spunto per creare il mondo degli “intrepidi” che è alla base dell’intera serie».
Anche lei soffre di fobie?
«Sì, ho un sacco di paure. Fin da bambina ero piuttosto ansiosa. In particolare ho il terrore degli insetti e soffro di vertigini».
Cosa pensa dei film tratti dai suoi romanzi?
«Quando ho deciso di vendere i diritti cinematografici dei miei libri mi sono detta che avrei dovuto essere aperta all’adattamento perché se no avrei incassato un’enorme delusione. Lì per lì è stato difficile capire e accettare i cambiamenti, ma ho cercato di godermi questa esperienza il più possibile. È stata una sfida, ma anche un momento di grande emozione. Essere scelta per l’addattamento ti fa sentire molto premiata. Il primo (Divergent) è senz’altro l’adattamento più fedele. Il cast è stato straordinario. Io però amo i libri e credo siano sempre migliori dei film che ne vengono tratti».
Ha partecipato ai casting?
«No, non si usa per gli autori esordienti come me. Ho assistito solo al provino di Theo James che interpreta Tobias Eaton e l’ho trovato molto adatto. Penso sia stato fatto un ottimo lavoro nella scelta degli attori, anche perché quelli a cui avrei pensato io non erano dell’età giusta».
In quale personaggio si identifica di più?
«In ciascuno di loro c’è una parte di me, ma Tobias è il mio preferito».
Come vive il rapporto di scambio continuo con i lettori attraverso i social media?
«È entusiasmante la facilità e volecità con cui posso restare in contatto con i miei lettori. E al tempo stesso è dura a volte pensare di essere continuamente sotto osservazione».
Come si è sentita quando ha scritto la parola fine?
«Concludere la storia mi ha messo in crisi. Facevo fatica a scrivere e ho capito che dovevo cambiare il finale per non restare bloccata».
C’è un messaggio politico o sociale nei suoi libri?
«Molti credono che si debbano guidare gli adolescenti, dirgli cosa dovrebbero pensare, io invece penso che i giovani debbano formarsi da soli idee e valori. Non intendo fornire risposte, ma intrattenimento che magari stimoli qualche domanda importante».
Chi sono i suoi primi lettori?
«Mio marito innanzitutto: è un pessimo scrittore ma un ottimo lettore. E poi mia madre, una persona straordinaria. E la mia agente, naturalmente».