Sabato 6 Luglio 2024
RICCARDO JANNELLO
Archivio

Cosima Spender, una vita per l’arte. E con 'Palio' ha conquistato l'America

La regista italo-inglese protagonista del premio Celli, che riceverà con Luca Alinari sabato a Siena

Cosima Spender assieme a Valerio Bonelli (Olycom)

Cosima Spender assieme a Valerio Bonelli (Olycom)

Siena, 19 dicembre 2015 - Oggi, nella Sala delle Lupe del Palazzo Pubblico, si tiene la trentaseiesima edizione del premio 'Mario Celli', che ricorda il noto giornalista e organizzatore senese. I premiati di quest’anno saranno lo scultore Luca Alinari e la regista Cosima Spender, nata a Siena, figlia degli artisti Matthew Spender e Maro Gorki che nel 1968 scelsero di vivere nella campagna Senese. La Spender è stata recentenente premiata a New York al Tribeca Film Festival di Robert De Niro per il suo docufilm 'Il Palio'.

Che cosa rappresenta l’Italia, dove è nata, per lei?

"L’Italia rappresenta la mia infanzia. Sono nata in Chianti, e il paesaggio intorno a Siena è nelle mie vene. Sono cresciuta parlando, prima di tutto, il ‘toscanaccio’ e poi l’inglese. Da piccola, mi incontravo ogni pomeriggio con i bambini di un paesino. Giocavamo ai quattro cantoni, a nascondino e a fare i fuocherelli nei boschi". 

E che cosa è Siena nella sua storia personale?

"A Siena ci sono andata a scuola dagli 11 ai 14 anni. Era diversa dalla campagna. I bambini parlavano di contrada e di Palio. Mi sentivo estranea, anche perché avere i genitori non solo inglesi, ma anche artisti, era una rarità. A casa l’ambiente era caotico e creativo, con gente che andava e veniva da varie parti del mondo. A casa dei compagni di classe c’era l’ordine e la calma. L’unica euforia era attorno al Palio".

Perché ha voluto realizzare questo docufilm sul Palio?

"Dopo dieci anni in cui ho girato documentari in Africa e in Europa ho avuto la voglia di tornare a casa, di immergermi nel paesaggio, e di raccontare una storia intorno al Palio. Era da tanto che ci pensavo, dai tempi della scuola di cinema, ma ero troppo inesperta per un argomento così complesso. All’università ho studiato antropologia e storia dell’arte, quindi i riti e le tradizioni mi sono sempre interessati. Trovo incredibile come un fenomeno come il Palio esista ancora in Europa, dandoci uno squarcio sul Medioevo. È il lato umano, e artistico insieme, che mi interessa nei documentari. In questo progetto, per esempio, è la relazione sviluppata con i personaggi il lato di cui sono più orgogliosa; senza quella, sarebbe venuto fuori un altro film, completamente differente e con minor anima. Così, invece, sono riuscita anche a parlare del mio amore per la terra in cui sono nata e cresciuta, per la lingua che ho ascoltato e parlato fin da bambina".

Che cosa ama e che cosa no della corsa?

"Amo il crescere della tensione, il gioco intorno a questo antichissimo spettacolo che riunisce tutti nei bar, a casa, nei negozi nei giorni prima del Palio a indovinare che cosa sta succedendo dietro le quinte. Mi piace ascoltare le varie versioni dei fatti, chi ha fatto patti con chi, chi sta escogitando cosa, l’indovinare la verità, cosa impossibile dato che ci sono cosí tanti livelli, cosí tanti misteri intorno a ogni Palio. E poi la Mossa: il silenzio prima della busta con l’allineamento tra i canapi; i giochi degli sguardi tra i fantini, il pubblico che incita i fantini, il tondino. La corsa stessa è straordinaria: distorge l’impressione del tempo, rendendolo elastico. Il giubileo e il fantino portato sulle spalle come un gladiatore.... Amo tutto!".

Che cosa ha convinto gli americani che le hanno conferito una menzione speciale al Tribeca Film Festival?

"Il film ha vinto il premio di migliore montaggio perché con Valerio Bonelli siamo riusciti a costruire i personaggi e la struttura di un film di finzione. In più le scene delle corse sono molto film d’azione. Il New York Times l’ha descritto come “Rocky a cavallo”. È molto raro oggigiorno che un documentario sia montato con girati che vanno oltre le interviste e le ricostruzioni".

Che cosa è stato per lei il film di Bertolucci “Io ballo da sola”?

"Bernardo è un caro amico di famiglia che ha raccontato una storia di una nostra amica nel suo film. Mi ha fatto capire che la realtà è piena di storie da raccontare. Ammiro Bertolucci perché nessuno sa dirigire la cinepresa come lui, i suoi movimenti non solo osservano, ma fanno parte della narrativa stessa". 

Che influenza hanno avuto la personalità e l’arte di suo padre e sua madre nella sua formazione?

"Sono cresciuta in una famiglia di artisti. Per tutta l’infanzia sono stata trascinata dentro chiese e musei e mia madre è sempre stata ossessionata dalla ‘composizione’ dei quadri e quindi delle inquadrature; mio padre invece mi ha sempre spinto a leggere il contesto dietro un’immagine e vedere ogni opera d’arte come la manifestazione di una storia. Insomma, non è stato certo un caso che abbia scelto un mezzo visivo per la mia professione. Nonostante tutto questo, è stato solo studiando antropologia e storia dell’arte che mi sono convinta a iscrivermi alla National Film and Television School di Londra per diplomarmi come regista". 

Che cosa ama e che cosa no dell’Italia?

"È un amore viscerale".

Che cosa rappresenta il premio Celli per lei?

"Il premio Celli é spiritualmente il premio più importante perché Siena è il soggetto del film e i senesi sono molto ‘gelosi’ del Palio".