Lunedì 25 Novembre 2024
ALESSANDRO MALPELO
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Cancro e farmaci: a che punto siamo e cosa ci riserva il futuro

Dieci domande e dieci risposte in oncologia: lo stato della ricerca e i passi avanti nella lotta ai tumori. Oggi giornata mondiale contro il cancro

Ricerca scientifica, foto di repertorio (Ansa)

Ricerca scientifica, foto di repertorio (Ansa)

Milano, 4 febbraio 2019 - In Italia, ogni giorno, mille persone ricevono una diagnosi di tumore. La chirurgia e la prevenzione sono ancora oggi fondamentali, eppure nonostante uno stile di vita sano ci si può ammalare, perché il codice genetico ha bisogno di manutenzione costante, e con l’età certi meccanismi di protezione possono venire meno più facilmente. Inoltre, le probabilità che un intervento chirurgico sia risolutivo variano da caso a caso. I farmaci però si evolvono grazie alle nuove conoscenze della genetica. A che punto siamo con la ricerca e cosa ci aspettiamo dal futuro? Ecco dieci risposte a dieci domande. I contenuti sono a cura degli specialisti della Società Italiana di Farmacologia, e sono stati diffusi nella ricorrenza del 4 febbraio, Giornata mondiale contro il cancro (World Cancer Day 2019). Tematiche che ormai sono quotidianamente oggetto di discussione, anche il caso della nostra collega Nadia Toffa, che in libreria e sui social racconta la sua personale esperienza, ci insegna l'importanza di favorire la massima conoscenza in oncologia. Ne parliamo in particolare con Gianni Sava, professore ordinario all’Università di Trieste

1) Si guarisce oggi dal cancro, grazie ai nuovi farmaci? 

La risposta è sì. Dipende ovviamente dal tipo di cancro, e dalle caratteristiche del paziente. La natura di questa malattia è talmente multiforme che sarebbe più giusto parlare al plurale, di tumori. Inoltre, anche la variabilità individuale incide: ciascuno di noi possiede geni diversi e quindi reagisce diversamente allo stesso tumore e ai farmaci. Per avere una misura dell’efficacia delle terapie ragioniamo in termini di sopravvivenza a cinque anni, a dieci anni dalla diagnosi e così via. E quando non è possibile eradicare la malattia, cerchiamo di cronicizzarne l’evoluzione con i farmaci: significa che le cellule tumorali permangono ancora nell’organismo, ma non fanno in tempo a generare masse incompatibili con la vita del paziente. 

2) Perché è difficile eradicare completamente i tumori? 

Perché le cellule tumorali sono molto simili a quelle sane, e quindi i trattamenti non distinguono con accuratezza le cellule malate dalle cellule sane. Stando così le cose, non possiamo sempre trattare il paziente con alte dosi di farmaco, benché efficace, perché il rischio è quello di uccidere anche le cellule normali, provocando quindi pesanti effetti collaterali nel paziente. Da venti anni a questa parte la selettività dei farmaci antitumorali nei confronti delle cellule malate è però aumentata molto. La sfida resta ancora quella di identificare bersagli specifici, che si trovino solo sulle cellule tumorali, per poterle colpire senza uccidere i tessuti sani compromettendo la salute e l'efficienza fisica del paziente. 

3) La chemioterapia antitumorale è ancora considerata efficace? 

La risposta è sì. Il problema dei vecchi chemioterapici era la bassa selettività, la capacità di attaccare anche cellule sane, causando effetti collaterali. La chemioterapia classica, basata sull’uso di sostanze citotossiche, capace cioè di affossare le cellule tumorali, interferendo con i loro meccanismi di crescita, ha tuttora un ruolo importante. Abbiamo imparato a somministrare  farmaci in maniera mirata, con meno effetti collaterali: i chemioterapici sono ancora importantissimi nei tumori del sangue in pediatria, e sono spesso utilizzati in combinazione con gli antitumorali più evoluti, farmaci biologici e biotecnologici, inducendo un significativo prolungamento dell’aspettativa di vita anche nel caso di tumori particolarmente aggressivi. 

4) La radioterapia antitumorale è ancora considerata efficace? 

La risposta è sì, decisamente. La radioterapia è impiegata nella lotta ai tumori per la sua capacità di causare danni irreparabili al DNA delle cellule tumorali, con un meccanismo d’azione simile a tanti farmaci della chemioterapia classica. La radioterapia ha però il vantaggio di bersagliare con maggiore precisione l’area interessata dalla neoplasia, grazie ad apparecchiature capaci di far convergere il fascio delle radiazioni da diverse angolazioni. In questo modo il tessuto sano viene esposto solo a basse dosi di radiazioni, e possiamo concentrare più fasci sui singoli bersagli tumorali, che così ricevono dosi massicce in maniera molto precisa. 

5) Esistono strategie più precise e meno invasive di chemioterapia e radioterapia? 

Abbiamo a disposizione molti nuovi farmaci più selettivi. Facciamo alcuni esempi. Nuovi composti detti inibitori delle tirosin chinasi (le tirosin chinasi sono strutture- bersaglio che permettono alle cellule tumorali di comunicare con altre cellule) hanno portato alla scoperta di Imatinib, molecola capace di controllare la crescita di tumori nei quali il ruolo di queste strutture (tirosin chinasi) è vitale. Esistono, inoltre, numerose varianti di tirosin chinasi, ciascuna con specifiche capacità di bersagliare le diverse varianti genetiche. Naturalmente, esistono numerosi altri bersagli tipici dei tumori: si tratta sempre di ostacolare una funzione vitale della cellula malata. Gli inibitori del proteasoma, per esempio, colpiscono un sistema molecolare deputato alla salvaguardia della vitalità delle cellule (ad esempio i farmaci Bortezomib e Carfilzomib), mentre gli inibitori di mTOR, colpiscono una via metabolica cruciale (ad esempio Temserolimus e Everolimus).

6) Se la genetica è così determinante nei tumori, non potremmo curarli con la terapia genica? 

La possibilità di intervenire sui tumori con la terapia genica è uno degli obiettivi della ricerca in oncologia. Da poco tempo si parla, per esempio, dei risultati ottenuti con la terapia nota come CAR-T, laddove i linfociti, cellule del sistema immunitario del paziente, vengono prelevati e il loro DNA viene modificato per insegnare a riconoscere e attaccare le cellule tumorali. I linfociti così trattati (ingegnerizzati) sono reinfusi nel soggetto, e si dimostrano in grado di riconoscere e distruggere le cellule tumorali presenti in circolo. I successi ottenuti con alcune neoplasie del sangue sono promettenti e la ricerca ora punta a utilizzare questa strategia genica anche per la terapia degli altri tumori. 

7) Sarebbe possibile mettere a punto un vaccino per “prevenire” i tumori? 

Il vaccino funziona sensibilizzando il sistema immunitario contro un ospite sgradito, di solito un virus o un batterio. Entrambi, una volta che hanno invaso l’organismo, sono percepiti come elementi estranei, perché costituiti da molecole molto diverse da quelle delle cellule che compongono il nostro organismo. Purtroppo le cellule tumorali, benché “estranee” come virus e batteri, in qualche modo, sono però chimicamente molto simili alle cellule sane. E quindi la strategia del vaccino è complicata dal fatto che è difficile distinguerle e colpirle selettivamente. A complicare ulteriormente è il fatto che le cellule tumorali mandano segnali che addormentano il sistema immunitario. Al momento sono possibili vaccinazioni antitumorali contro alcuni tumori quali per esempio il cancro della cervice uterina, causato dal papilloma virus. La vaccinazione di adolescenti contro questo virus a trasmissione sessuale, principale causa scatenante dell’insorgenza del tumore, sta dando ottimi risultati. 

8) Al posto del vaccino sarebbe possibile somministrare direttamente anticorpi anti-tumore? 

Uno degli aspetti cruciali sul quale si sono concentrati i ricercatori è stato quello di bersagliare in modo selettivo le cellule tumorali, evitando quindi che il farmaco antitumorale agisse anche sulle cellule sane. I bersagli della chemioterapia convenzionale sono condivisi tra le cellule tumorali e le cellule sane e questo provoca inevitabilmente effetti collaterali come le mucositi, i disturbi dell’apparato digerente, le linfo-, piastrino- ed eritro-penie, la caduta dei capelli e altri effetti ancora spesso caratteristici del singolo principio attivo. Una possibile soluzione a queste limitazioni è l’impiego di un anticorpo in oncologia costruito in modo tale che sappia riconoscere uno specifico bersaglio. In chemioterapia vale il principio che spesso il bersaglio da colpire è presente anche in cellule sane ma, in generale, nelle cellule tumorali è più frequente, ed è più coinvolto nella sopravvivenza della cellula stessa. 

9) Quali tumori è possibile oggi curare con gli anticorpi? 

Gli anticorpi monoclonali consentono ad esempio di riconoscere in modo preciso il bersaglio sulla cellula tumorale, una strategia che ha già portato in terapia combinazioni come ad esempio Gentuzumab-ozogamicin per la terapia della leucemia mieloide acuta, Brentuximab-vedotin per le ricadute del linfoma di Hodgkin e per i linfomi anaplastici a grandi cellule, Ado-Trastuzumab- emtansine per il carcinoma della mammella positivo per HER-2, Inotuzumab-ozogamicin per leucemie linfatiche acute e a cellule B e Vadastuximab-talirine per la leucemia mieloide acuta. Altre combinazioni sono in fase di sviluppo clinico. 

10) Quali sono i farmaci sui quali i ricercatori hanno maggiori aspettative? 

Dal momento che la genetica è la chiave di volta, perché consente di discriminare tra cellule tumorali e cellule sane, le maggiori innovazioni arriveranno dai progressi nelle conoscenze sulla genetica del tumore. Oltre alla medicina di precisione, la nuova frontiera guarda alle mutazioni, punta a sviluppare una nuova generazione di farmaci agnostici, capaci cioè di bersagliare tutti i tipi di tumore che condividono la stessa mutazione genica, indipendentemente dalle caratteristiche istologiche, cioè il tipo di tessuto o l’organo di provenienza. In questo modo si potranno presto trattare molti tipi di cancro diversi con la stessa molecola.