Milano, 19 luglio 2015 - DALL’AUDITORIUM del sito Expo, scelto per l’assemblea nazionale del Pd, Matteo Renzi annuncia «un programma di riduzione delle tasse senza precedenti nella storia repubblicana». «Se riusciamo a mantenere vivo il cantiere della riforme – premette il presidente del Consiglio e segretario nazionale dei democratici – nel 2016 eliminiremo noi la tassa sulla prima casa, l’Imu agricola e quella sugli imbullonati (i macchinari usati dalle imprese fissati al suolo, ndr)». Non solo: «Nel 2017 interverremo su Ires e Irap». Non basta ancora: «Nel 2018, a conclusione di un percorso (e della legislatura, ndr) interverremo sugli scaglioni Irpef e sulle pensioni mantenendo inalterata la curva del debito». Inalterata non rimarrà invece una certa reputazione dei democratici. Pare di sentire Silvio Berlusconi ma è Renzi a tratteggiare il ritratto: «Il Pd non sarà più il partito delle tasse, come viene percepito. Diventerà – piuttosto – il primo partito che le tasse le riduce».
«UNA RIVOLUZIONE copernicana», sillaba il segretario davanti ad una platea silente, forse a disagio: manco un applauso a sostenere una promessa da almeno 4 miliardi di euro. «Basta col disfattismo cosmico della tribù dei musi lunghi», aveva tuonato poco prima lo stesso Renzi pungolando l’opposizione interna, coloro che nel Pd restano senza risparmiare critiche, «senza capire che è al Paese che bisogna rispondere», e coloro che dal Pd se ne vanno senza capire che «spostandosi più a sinistra non c’è sfida che si possa vincere».
UN ANNUNCIO, quello della svolta fiscale, che il segretario lascia in fondo al suo discorso, un’ora dopo l’incipit. Berlusconi fece altrettanto, anzi persino meglio, promettendo l’abolizione dell’Ici sulla prima casa solo all’ultimo minuto utile dell’ultimo confronto televisivo con Romano Prodi: 3 aprile 2006, campagna elettorale per le Politiche. La promessa divenne realtà solo nel 2008 e durò fino al 2011, quando arrivò il salasso di Mario Monti. Paragoni che Renzi non vuol sentire: sulla cancellazione dell’imposta «gli altri hanno fatto finta». Renzi fa sapere, però, che l’«Italia nei prossimi tre anni non sfonderà il parametro comunitario del 3% del deficit per non aumentare il debito pubblico nonostante un risparmio privato che vale il doppio».
RIVENDICA «sette mesi di riforme» e «la stabilizzazione dei precari», «il ruolo giocato nella crisi greca» e, salto carpiato nel recente passato, di aver cancellato «l’offesa dei 101». Ringrazia prima Giorgio Napolitano e poi Sergio Mattarella: e qui, da una platea pur spoglia dei grandi vecchi, non fosse per Piero Fassino, arrivano applausi veri. Anche più apprezzato l’affondo sul caso profughi: «Restiamo umani, vi prego». Il premier conta infine i nemici: «Tre in tutto: Grillo e il suo populismo, la sinistra radicale che ritiene impossibile ciò che per noi è probabile e il centrodestra becero di Matteo Salvini». «L’Italia – è il messaggio di Renzi – è debole solo nel racconto che ne fanno – di nuovo – i disfattisti».