Roma, 15 aprile 2016 - NE È rimasto soltanto uno. Ed è un referendum che ha un valore politico, più che tecnico. Volete che – è il quesito – quando scadranno le concessioni, non venga più prorogata l’estrazione dai giacimenti già in attività nelle acque territoriali italiane entro le 12 miglia, anche se c’è ancora gas o petrolio? Già oggi le compagnie non possono trivellare nuovi pozzi entro le 12 miglia: una vittoria del sì accelererebbe la chiusura degli impianti esistenti. Che non sarebbe però immediata.
INIZIALMENTE i quesiti in materia di trivelle proposti da dieci regioni – poi ridottesi a nove per la marcia indietro dell’Abruzzo – erano 6. Cinque riguardavano l’articolo 38 del decreto ‘Sblocca Italia’ approvato dal governo Renzi, uno l’articolo 35 del decreto Sviluppo del 2012, ovvero le Disposizioni in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi. Tutti e 6 i quesiti referendari erano stati dichiarati ammissibili a fine novembre dalla Cassazione, cui spetta il vaglio dal punto di vista della legittimità, e così il governo, per evitare la consultazione è perciò intervenuto modificando con la legge di Stabilità le norme contestate: missione quasi riuscita perché l’8 gennaio la Suprema Corte ha dichiarato inammissibili 5 dei 6 referendum ma ha confermato quello sulla proroga delle concessioni entro le 12 miglia. Attualmente, la produzione di greggio nazionale rappresenta il 10,1 per cento dei consumi nazionali, mentre quella di gas contribuisce per l’11,5 per cento. Complessivamente, sono attivi 894 pozzi eroganti, 92 centrali di trattamento a terra e 133 strutture a mare. Il giacimento di Tempa Rossa con una produzione giornaliera di 50mila barili di greggio, 230.000 m3 di gas, produrrà un incremento del 40 per cento della produzione petrolifera nazionale che frutta circa 370 milioni di euro in royalties.
DAI POZZI offshore italiani viene estratto oggi circa il 67 per cento della produzione di gas e il 13 per cento di quella di greggio. A fine 2008 le concessioni per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi in mare erano in tutto 69. Entro le 12 miglia ce n’erano 44, ma 9 (5 produttive e 4 non) sono nel frattempo scadute, pur se è stata chiesta una loro proroga. Ne rimangono 35. Di queste, 3 sono di fatto inattive, 5 nel 2015 sono risultate improduttive e una (Ombrina Mare, al largo dell’Abruzzo) è sospesa fino alla fine del 2016. Restano quindi produttive ‘solo’ 26 concessioni per un totale di 79 piattaforme marine, che estraggono idrocarburi da 463 pozzi sottomarini che producono il 27% del gas e il 9% del greggio estratti in Italia.
LA MAGGIOR parte si trovano nell’Adriatico romagnolo e marchigiano (47 piattaforme alimentate da 319 pozzi). Segue l’Adriatico abruzzese (22 piattaforme collegate a 70 pozzi), il Mar Ionio (5 piattaforme e 29 pozzi) e il Canale di Sicilia (5 piattaforme e 45 pozzi). Le restanti 54 piattaforme oltre le 12 miglia – non interessate al referendum – producono invece circa il 40% del gas e il 4% del greggio prodotto in Italia. Da notare che in caso di vittoria del ‘sì’ la chiusura degli impianti entro le 12 miglia non sarebbe immediata ma legata alla durata della concessione. Per 9 concessioni (38 piattaforme) avverrebbe entro fine 2016, ma per 17 concessioni (41 piattaforme) la scadenza è fissata tra tra il 2017 e il 2027 e in ogni caso arriveranno a naturale scadenza. Anche per questo il quesito è molto politico. Di politica dell’energia – vogliamo continuare a puntare sulle fonti fossili oppure no – e di politica pura. Pro o contro il governo Renzi, a prescindere.