Bologna, 18 gennaio 2017 - Presidente Prodi, la premier britannica Theresa May ha ufficializzato l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue e dal mercato comune. Che ripercussioni ci saranno sull’Europa?
«Sono stato dispiaciuto dalla Brexit ma non stupito. Il fatto nuovo è che c’è l’incoraggiamento americano alla Brexit. Una interferenza inedita, secondo me, di poco stile. Dal punto di vista politico conta il fatto che il futuro presidente degli Stati Uniti ritenga la mossa della Gran Bretagna un fatto positivo».
Gli inglesi sostengono che lasciando l’Europa saranno più globali. Un paradosso?
«Quando ho letto questa frase ho detto: ‘Auguri’. È chiaro che in questo momento la Gran Bretagna è euforica, per ora si gode un andamento della sterlina che aiuta le esportazioni, tanti turisti in più a Londra. Ma sono fatti passeggeri».
La Cina invoca la globalizzazione, l’America di Trump marcia spedita verso il protezionismo. Il mondo si è capovolto?
«È un mondo in cui le leadership inseguono i propri elettori. Gli americani sono spaventati, la classe media ha paura sebbene l’economia Usa sia andata piuttosto bene negli ultimi anni. Trump è riuscito a indicare nella concorrenza messicana e cinese la grande causa di questa paura. Al contrario, è chiaro che le esportazioni hanno fatto la Cina forte e vigorosa».
Lei pensa che Trump favorirà la disgregazione della Ue?
«Finora è passato da una contraddizione all’altra ma certamente le sue dichiarazioni sono state anti europee. Certo, non è che mettendo ostacoli all’arrivo dei cittadini europei in Usa si ferma il terrorismo».
E L’Europa?
«Dovrebbe esserci una strategia unica. Il vero problema è che, anche stavolta, difficilmente ci sarà una politica comune».
Per la verità c’è chi ha dato una risposta immediata a Trump: la Merkel.
«Scusi, faccio io una domanda: negli infiniti vertici Ue, quando mai è stata data una risposta immediata? Mai».
Ma l’Europa è già morta?
«Certo, la mia Europa sì. Ma spero che la crisi la svegli. Ora possiamo solo aggiungere: preghiamo... L’augurio è di poter ancora costruire un’Europa che possa reggere, anche se non con un ruolo da leadership come speravo, il confronto con i giganti del mondo».
Forse ci vogliono anche i leader.
«A volte i leader nascono. Per ora quelli attuali non si sono dimostrati tali. Speriamo ne arrivino di fronte a quella che è una sfida capitale».
Arriva l’infrazione europea sui conti pubblici italiani. E poi c’è la guerra dell’auto. Secondo lei l’Italia è sotto scacco?
«Lo scontro dell’auto è incomprensibile. La Germania ha fatto un’interferenza nel nostro Stato nazionale. E viene da dire: da quale pulpito... In questo concordo con Delrio: piantatela».
E la lettera?
«È chiaro che la necessaria flessibilità diventa più difficile per un commissario olandese che è già nel pieno della campagna elettorale. Fare la faccia feroce contro l’Italia rende voti, sa? Invece c’è una cosa che mi stupisce di più».
Cosa?
«La previsione di diminuzione della crescita del Fmi, perché nell’ultima parte dell’anno c’era stato un minimo miglioramento, pensavo si potesse mantenere quello 0,9% delle previsioni di crescita precedenti».
Come se ne esce?
«Ci vorrebbe un leader vero che si mettesse nei panni di tutti. Chi guida una coalizione politica e una unione di Paesi si deve rendere conto degli interessi di tutti. Mi riferisco alla Merkel».
Lei espresse il timore che la vittoria del No al referendum costituzionale italiano potesse portare a un’inutile e dannosa turbolenza. È partita questa fase di instabilità?
«Beh... sì. Io non so se le turbolenze di oggi derivino dal referendum, però stanno arrivando».
Il governo Gentiloni è più debole di quello di Renzi?
«Io ho avuto Gentiloni nel mio governo, abbiamo sempre lavorato assieme e ho la massima fiducia in lui».