Venerdì 22 Novembre 2024
CLAUDIA MARIN
Politica

Ministero dello Sviluppo economico, gli stipendi. Dirigenti super pagati

Il Mise rende più del Lavoro: compensi di 200mila euro in uno contro i 150mila euro nell'altro

Carlo Calenda (NewPress)

Carlo Calenda (NewPress)

Roma, 15 mazo 2017 - QUANDO pochi metri, a parità di lavoro, possono fare la differenza anche di 50-60mila euro l’anno di stipendio. Il ministero del Welfare e quello dello Sviluppo economico si trovano l’uno di fronte all’altro, o quasi, lungo via Veneto. Eppure, fare il direttore generale nel primo dicastero può voler dire mettersi in tasca anche una bella fetta di retribuzione in meno rispetto allo svolgimento dello stesso ruolo nel secondo. Intendiamoci, sempre di compensi elevati si tratta. Ma, nella nostra nuova puntata sulla «trasparenza» degli stipendi dei manager pubblici, vengono fuori anche sperequazioni come queste.

AL MINISTERO dello Sviluppo, guidato da Carlo Calenda, secondo i dati aggiornati al 2015, i 18 dirigenti generali guadagnano tutti almeno 198-200mila euro, ma la maggior parte sta in media sui 210mila euro, con punte fino a 217mila. A questa cifra – tipica di un capo dipartimento – arrivano Carlo Sappino e Gianfrancesco Vecchio, seguiti da Rosaria Fausta Romano e Gilberto Dialuce, tra 213 e 214mila, mentre tra 209 e 211mila stanno Rita Forsi, Mirella Ferlazzo, Simonetta Moleti, Amedeo Teti, Antonio Lirosi. Tutti gli altri dirigenti di prima fascia si collocano tra 198mila e 207mila circa. Due anni fa, però, era vacante l’incarico di segretario generale, che è stato assegnato l’autunno scorso a Andrea Napoletano (classe 1978), già capo della segreteria tecnica dello stesso Calenda, con una retribuzione che è da presumere quantomeno analoga a quelle indicate.

INVECE al ministero di Giuliano Poletti, quello del Lavoro, tocca i 200mila euro solo il segretario generale Paolo Onelli, con il capo dell’Ispettorato del lavoro, Paolo Pennesi, a quota 190mila. Tutti gli altri 11 direttori generali, secondo i dati 2015-2016, hanno una retribuzione uguale fino all’ultimo centesimo: 147.747,65 euro lordi annui.

Come si vede, in confronto con i colleghi di pari grado del ministero situato dal lato opposto della strada, i manager pubblici del Welfare si portano a casa dai 50 ai 70mila euro in meno l’anno. Ma l’irrazionalità retributiva – a fronte di funzioni largamente analoghe – non si ferma solo a questo livello, perché, per fare un altro esempio, si verifica il paradosso in base al quale i dirigenti del ministero «vigilante» su Inps e Inail (quello del Lavoro) si ritrovano a quasi 90mila euro di distanza dai dirigenti «controllati».

IL GROVIGLIO dei compensi è tale che dentro lo stesso ministero del Welfare si assiste al fenomeno secondo cui i dirigenti generali che hanno responsabilità gestionali rilevanti guadagnano almeno 20mila euro in meno dei colleghi dello stesso ministero che vanno a svolgere le funzioni di componente dei collegi sindacali degli enti previdenziali: attualmente sono n otto a ricoprire questa carica.

Se dai dirigenti di prima fascia passiamo a quelli di seconda, la differenza di retribuzione tra i due ministeri economici si ripropone identica: al Lavoro si arriva al massimo a circa 80mila euro l’anno, al Mise si può arrivare a quota 97-98mila, con un minimo oltre i 92mila.

In comune i due ministeri (ma è una tendenza generalizzata) hanno i premi di risultato in pratica uguali o quasi per tutti e distribuiti largamente a pioggia: i dirigenti generali del Lavoro, per esempio, ottengono 11.590,72 euro, quelli di seconda fascia 6.395 euro. E lo stesso fenomeno, con qualche variabilità in più, si ripete al Mise.